Raffaele Carcano*
Superate la vostra naturale ritrosia, e visitate il sito del giornale dei vescovi Avvenire: non mordono, e parlano di ateismo più frequentemente del vostro quotidiano preferito. Sulla home page potreste trovare un vistoso banner che invita a consultare il dossier L’azzardo non è un gioco. Cliccandoci sopra, si accede a una dozzina di articoli pubblicati dal giornale nell’arco di un mese. Potrete notare che i relativi titoli non hanno alcun legame con la religione.Il motore di ricerca interno del sito lascia parecchio a desiderare, ma gli smanettoni (diffusissimi tra i non credenti) non avranno difficoltà a individuare il comunicato stampa emesso in occasione dell’ultima riunione del consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, dal titolo Dare sbocco all’occupazione e rilanciare la speranza. Un’esigenza non solo sempiterna, ma anche e soprattutto secolare. Chi sosterrebbe il contrario, durante una fase economica così negativa?
Compulsando ancora il motore di ricerca interno, troverete anche un articolo del due marzo che dà grande risalto alla “Giornata europea per le domeniche libere dal lavoro”, promossa dall’European sunday alliance. Domenica al lavoro: l’Europa si mobilita; è il titolo, «Oggi non fare shopping! La domenica non ha prezzo» lo slogan della manifestazione ripreso in apertura.
Per chi non lo sapesse, l’European Sunday alliance è una organizzazione mista Chiese-sindacati, una sorta di “santa alleanza” promossa in nome del riposo domenicale. È apertamente appoggiata dalla Commissione degli episcopati cattolici dell’Unione europea e anche la Cgil italiana, insieme al sindacato comunista francese, ne sono membri a pieno titolo. Fianco a fianco a uno dei leader pro-life polacchi, l’europarlamentare conservatore Konrad Szymanski.
Una prossimità che si è ripetuta anche domenica primo aprile, ed è stata tutt’altro che un pesce: sindacalisti Cgil sono infatti andati a volantinare davanti alle chiese a difesa dell’articolo 18. Senza peraltro suscitare particolare empatia nei fedeli, stando alle immagini disponibili. Esponenti della stessa Cgil si sono espressi contro il gioco d’azzardo, chiedendo «azioni concrete di prevenzione» quali l’abolizione della pubblicità in materia, «una vera e propria tassa occulta a danno dei più deboli, che lo Stato riesce a rendere volontaria pubblicizzando senza remora i vari giochi e le loro modalità».
Come giudicare queste convergenze? Che la Cgil abbia tutto l’interesse ad ampliare il consenso intorno a certe tematiche mi sembra pacifico. Ma anche le gerarchie ecclesiastiche hanno intensificato il tentativo di accreditarsi “laicamente” quali autorevoli interlocutrici sui temi socialmente sensibili. I vertici della Chiesa sanno riscrivere il proprio vocabolario, quando è il caso, e riverniciarlo di contenuti secolari. Si pensi al concetto di «sana laicità» di cui si sono fatti alfieri. È un tentativo di rendersi credibili presentandosi come i veri interpreti, e da sempre, delle esigenze di secolarità, contro i perfidi «laicisti» che, da sempre, ne darebbero invece una definizione sbagliata. Un tentativo che sta andando in porto, quantomeno in Italia. I politici hanno già ratificato e fatto propria la revisione orwelliana, e tra non molto anche i dizionari cominceranno a riscrivere le voci “laicità” e “laicismo” prendendo atto del cambiamento e, nello stesso tempo, contribuendo ulteriormente a promuoverlo.
È solo grattando la patina laica che viene fuori il sostrato clericale. Così come la «sana laicità», una volta esaminata in dettaglio, si rivela la richiesta di conservare e perfino ampliare i privilegi di cui già dispone, così anche l’analisi dell‘improvviso estendersi degli interessi cattolici nel sociale cattolica porta facilmente alla luce la sua radice profondamente religiosa. Il dossier di Avvenire ha infatti preso il via immediatamente dopo un pesante attacco al gioco d’azzardo promosso dall’editore del quotidiano, il cardinale Angelo Bagnasco. Basta rileggerselo, per scoprire che era finalizzato alla richiesta che l’intera società debba soddisfare «la ricerca di Dio, della verità e della bellezza spirituale», e debba quindi «diventare educativa». Sotto la guida, ovviamente, della Chiesa «madre e maestra».
Allo stesso modo, il riferimento all’occupazione nel titolo del comunicato stampa è solo uno specchietto per le allodole, o meglio ancora per piccioni: i vaticanisti in servizio permanente. Il tema del lavoro vi aveva infatti meritato soltanto due brevi accenni. La crisi economica ha rappresentato piuttosto l’opportunità per formulare una critica feroce all’«utilitarismo» e all’«individualismo esasperato», e per ribadire che è soprattutto l’azione solidale della Chiesa a far fronte all’emergenza. E che «la carità è generata dalla fede». Di quanto sia munificamente generata dalle casse pubbliche non c’è invece traccia, nel comunicato.
La religione è ovviamente il motore anche dell’impegno cattolico contro la domenica al lavoro. «La domenica è giorno di Dio e della comunità», ha sostenuto Benedetto XVI. Si noti come la comunità venga dopo Dio. “Caldamente” invitata a seguirne le direttive.
Non è una novità. Se (non poi molti) decenni fa le gerarchie ecclesiastiche tuonavano contro le osterie aperte di domenica, oggi il bersaglio sono i centri commerciali. La sensazione che a essere presa di mira, sempre e ovunque, sia ogni forma di concorrenza ritenuta sleale è assai forte. Non si comprende infatti per quali altre ragioni si dovrebbe impedire a una commessa di lavorare la domenica, e lo si dovrebbe invece consentire a un sacerdote. Sarebbe interessante sapere se il “no” cattolico al lavoro domenicale si estende anche agli autisti e alle guide che conducono i pellegrini a San Pietro. Oppure ai dipendenti dei tanti negozi di proprietà ecclesiastica che intorno alla basilica vendono paccottiglia di basso livello, o a quelli dei limitrofi ristoranti acchiappaturisti che a prezzi carissimi servono pietanze di ancor più basso livello. Ancor più interessante sarebbe conoscere se il Vaticano impone nei contratti la chiusura domenicale, quando loca edifici a destinazione commerciale.
Situazione non molto diversa per quanto riguarda il lavoro. Nell’Europa unanimemente cristiana dei secoli passati la vita era durissima: per abolire la servitù della gleba si è dovuto attendere l’Ottocento. E ci sono voluti i sindacati progressisti, frutto di un’ideologia non cristiana che – stando al cardinal Bagnasco – farebbe perdere la «dignità umana», a fargliela per contro avere ai lavoratori. In Vaticano sono stati i primi a portare a 67 anni l’età per la pensione, e sono note le condizioni di scarsa regolamentazione di insegnanti e sacrestani. Curioso poi che la guerra al gioco d’azzardo sia stata scatenata da chi, sull’azzardo più grande – l’esistenza di Dio – prospera da millenni. La scommessa di Pascal è stata inventata da un credente, non certo da un incredulo.
Lasciamo pure le incoerenze dottrinali ai cattolici. Liberi tutti di crederci, non è questo il problema. Il problema è che specifiche prese di posizioni dei vertici della Chiesa romana generano reazioni pavlovianamente clericali nella stragrande maggioranza della classe dirigente italiana.
A cominciare ovviamente da chi deve il proprio posto soprattutto al Vaticano. Il ministro della salute Balduzzi, per esempio, solerte interprete delle preoccupazioni d’Oltretevere per il crescere della cosiddetta ludopatia. O il ministro della cooperazione Riccardi: che non ha alcuna competenza sulla materia ma, essendo stato fondatore della Comunità di Sant’Egidio, è abituato a imitare le gerarchie ecclesiastiche, discettando su ogni questione. C’è da sorprendersi se, immediatamente dopo la prolusione di Bagnasco, parlamentari Pdl, Terzo Polo e Pdl si sono affrettati a presentare proposte di legge per vietare la propaganda pubblicitaria del gioco d’azzardo? Anche contro le domeniche al lavoro i nostri onorevoli parlamentari stanno marciando compatti. Guidati dal ciellino Farina, già agente Betulla, che ha preannunciato il suo voto con toni apocalittici: «La domenica non si tocca. È un’invenzione di Dio». Anche Farina lo è. E si vede.
Si sente spesso parlare di altruismo, e quasi sempre lo si abbina all’azione sociale della Chiesa. Tecnicamente, l’altruismo è il desiderio di aiutare gli altri, e la prosocialità è il compiere azioni di cui beneficiano gli altri. La Chiesa tende sempre più spesso a compiere esclusivamente azioni di cui beneficia soprattutto la Chiesa stessa. Se si studiano alla radice i suoi comportamenti, non riesce mai ad apparire disinteressata. Eppure l’immagine che passa sui mezzi d’informazione è un’altra. I capi della Chiesa hanno capito che bisogno presentarsi come altruisti. E in tanti abboccano alla distorsione mediatica. La convenienza ad averli dalla propria parte farà il resto.
Ho volutamente presentato tre temi (il gioco d’azzardo, l’occupazione, il riposo settimanale) in cui molti non credenti la pensano allo stesso modo dei leader cattolici, tanto da valutare positivamente gli interventi. Ma ricordiamoci anche quegli ambiti in cui analoghi interventi non sono graditi. E sono tanti, dall’aborto al fine vita, dalla ricerca al riconoscimento delle coppie di fatto…. con argomentazioni rivestite anche in questi casi da coperte pseudo-secolari. «I bambini hanno bisogno di avere un padre e di una madre!»: tranne gli orfani, ovviamente.
È difficile far capire che un atteggiamento laico va chiesto sempre e ovunque, anche quando l’attivismo politico della Chiesa è apprezzato. Ma una sfida ancor più grande è riuscire a trasformare l’arena pubblica in uno spazio di discussione realmente aperto a tutti, e in cui le rispettive argomentazioni non siano truccate con un pesante make-up retorico, ma siano esposte in maniera trasparente. E soprattutto razionale. È pronto homo sapiens per realizzare questa impresa? E sono pronti i laici a farsene carico per primi?
* Studioso della religione e dell’incredulità, curatore di Le voci della laicità, coautore di Uscire dal gregge, autore di Liberi di non credere, segretario UAAR.
http://www.uaar.it/news/2012/04/17/attivismo-cattolico-nelle-questioni-sociali-profane/