Misericordia per Antonia Pozzi, poetessa suicida. Ma eminenza, ci spieghi: perché non c’è stata misericordia per Piergiorgio Welby?
17-04-2012
La notizia: il cardinale Gianfranco Ravasi, oggi alle 18 celebra, presso la chiesa parrocchiale di Pasturo vicino Lecco, una messa in favore della poetessa Antonia Pozzi. Antonia Pozzi, racconta Armando Torno sul “Corriere della Sera”, morì suicida il 3 dicembre del 1938, aveva appena 26 anni. Torno riporta una confidenza del cardinale Ravasi: “Celebro questa messa perché l’atteggiamento che la Chiesa ha attualmente nei confronti dei suicidi presta molta attenzione alle dimensioni interiori della tragedia. Se l’evento drammatico nasce da una superficialità o è causato dal disprezzo dei valori della vita, allora evidentemente non può essere oggetto di una celebrazione esplicita. Ma la Pozzi rappresenta il caso di una persona dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore, travolta da una sensibilità estrema”. Sintetizza Torno: “La Chiesa non accetta il suicidio razionale; tuttavia per altre situazioni, si fa interprete misericordiosa”.
Non è stata generosa la vita con Antonia Pozzi, e lo si può intuire dalla scarna scheda che accompagna il servizio del “Corriere”: “…Figlia di un avvocato milanese e della contessa Lina Lavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, si uccise con barbiturici. La famiglia negherà la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il testamento fu distrutto dal padre, che intervenne anche sulle poesie”. A proposito di poesie, Ravasi cita alcuni versi, rivelatori: “…Ma tutta l’acqua mi fu bevuta, o Dio,/ ed ora dentro il cuore/ ho una caverna vuota/ cieca di te./ Signore, per tutto il mio pianto/ ridammi una stilla di Te,/ ch’io riviva…”.
Ancora Ravasi: “Celebrerò la messa anche per essere vicino a tutte quelle persone sensibili che sentono dentro di sé un vuoto e una domanda…”.
Eminenza: la misericordia è un valore che dovrebbe essere universale, valido per credenti e non credenti, o diversamente credenti. Come non ricordare, eminenza, che a una persona, certamente dotata di una intensa spiritualità, seppur laica e non conforme ai canoni del dogma d’oltretevere – si parla di Piergiorgio Welby – il vicariato di Roma negò i funerali religiosi? Come dimenticare che quell’estremo momento di consolazione per la madre e la moglie di Piergiorgio vennero negati in nome di una ragione “politica” a tutti evidente, anche se di difficile comprensione? In virtù di quella manifestazione di debolezza intollerante, i funerali si celebrarono laicamente, sulla piazza San Giovanni Bosco, con la chiesa sbarrata; e furono alcune piccole, anonime, suore a portare quel conforto che la Chiesa di Roma tetragona aveva negato, assieme a una folla in cui certamente tanti erano i credenti. Welby amava la vita, e a un certo punto, stremato, chiedeva solo che fosse messa la parola fine a quella che vita non era, ma solo sofferenza e inutile, insopportabile tormento.
Eminenza, rileggiamolo quel freddo comunicato del Vicariato: “In merito alle richieste di esequie ecclesiastiche per il defunto dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dei casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del dott. Welby di porre fine alla propria via, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn.2276-2283-2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti”.
Eminenza, raffronti quello scritto (e non deve sfuggire la puntigliosa, miope, leguleia elencazione di codicilli), alle sue parole: che pur nella disapprovazione, non esprimono condanna (forse nella consapevolezza che chi giudica sarà a sua giudicato, chi condanna sarà a sua volta condannato?); è stridente la differenza di forma, e dunque sostanza;, e di questa differenza ci si rallegra. Ma eminenza, ci dica: anche il nostro compagno Piergiorgio dovrà attendere 74 anni, prima che ci sia, anche per lui, una parola, un gesto, di comprensione e di misericordia?
va.vecellio@gmail.com