Palermo: il caso di don Turturro, in appello il pg chiede la conferma della condanna.
RICCARDO ARENA - PALERMO.
«Esci dal sospetto. Io apro le pagine dell’ infanzia. Le pagine della coscienza ancora invincibilmente immacolate. Io uccido la sfiducia in me stesso e persino nella morte». Lo scrive su un giornale online diretto da Vincenzo Noto, un sacerdote suo amico, padre Paolo Turturro, ex parroco palermitano condannato a sei anni e sei mesi per pedofilia, in tribunale, ma mai sospeso dal suo incarico ecclesiastico. Il processo è andato avanti molto lentamente: era iniziato nel 2004 e dopo la sentenza di primo grado (luglio 2009) ci sono voluti due anni e mezzo per iniziare l’appello. Adesso il procuratore generale Carmelo Carrara ha chiesto la conferma della pena per il presunto pedofilo.
RICCARDO ARENA - PALERMO.
«Esci dal sospetto. Io apro le pagine dell’ infanzia. Le pagine della coscienza ancora invincibilmente immacolate. Io uccido la sfiducia in me stesso e persino nella morte». Lo scrive su un giornale online diretto da Vincenzo Noto, un sacerdote suo amico, padre Paolo Turturro, ex parroco palermitano condannato a sei anni e sei mesi per pedofilia, in tribunale, ma mai sospeso dal suo incarico ecclesiastico. Il processo è andato avanti molto lentamente: era iniziato nel 2004 e dopo la sentenza di primo grado (luglio 2009) ci sono voluti due anni e mezzo per iniziare l’appello. Adesso il procuratore generale Carmelo Carrara ha chiesto la conferma della pena per il presunto pedofilo.
Non ha dubbi, il rappresentante dell’ accusa: Turturro, prete un tempo impegnato nell’ antimafia militante, è «un ministro del culto in cui albergava il mostro della pedofilia». Eppure per lui nessuna sospensione, nemmeno un intervento della chiesa sulla sua vicenda, né un provvedimento cautelare delle autorità ecclesiastiche: mentre in Austria, Canada, Baviera, Stati Uniti, ma anche in Italia, le sospensioni scattano a decine, per semplici sospetti e per indagini appena avviate, mentre il Papa chiede perdono alle vittime della pedofilia, Turturro, lontano parente dell’attore americano John, è sempre rimasto ad amministrare i sacramenti.
Per tre anni i giudici penali lo avevano «esiliato» da Palermo, obbligandolo a risiedere fuori provincia, e lui si era stabilito a Messina. Poi la misura cautelare è venuta meno e l’ex parroco della chiesa di Santa Lucia è tornato nel capoluogo dell’Isola. Non guida più la parrocchia che sta di fronte al carcere dell’Ucciardone, nei pressi del porto, e dove aveva dato vita a una serie di talvolta controverse iniziative antimafia, ma si è trasferito come rettore alla Madonna del Ponticello, nel centro storico.
«È un cittadino come tutti gli altri - sostiene il vescovo ausiliare di Palermo, monsignor Carmelo Cuttitta - e per tutti i cittadini si presuppone l’innocenza fino alla sentenza definitiva. Le situazioni vanno valutate caso per caso». Ma la cautela e la severità della chiesa per gli scandali della pedofilia? «I giudici stanno facendo il loro lavoro e Turturro ha la possibilità di difendersi, finché non verrà accertata la sua responsabilità».
L'imputato ha seguito di persona tutto il processo in tribunale e ora in appello anche la requisitoria e l’arringa dell’avvocato di parte civile, Paola Rubino. La difesa ha più volte puntato sulla tesi dell’accordo per fare fuori il prete antimafia che nel popolare quartiere del Borgo avrebbe dato fastidio: «Nessuna congiura», ribatte il pg Carrara, anzi tutto il contrario, con le famiglie che in alcuni casi non denunciarono e si chiusero a riccio. Molti dei 67 testi ascoltati in tribunale ritrattarono. Il magistrato chiede anche la conferma dell’interdizione dai pubblici uffici. Il quartiere si era diviso: nella scuola in cui il sacerdote insegnava e in cui venne fuori, per caso, uno dei due episodi di violenza (le vittime avevano 10 anni a testa), qualcuno ancora difende l’imputato. Ma il Borgo in generale ha girato le spalle al suo ex parroco. E pure la chiesa attende la sentenza, prevista per il 13 ottobre.
«Padre Paolo si comporta da persona molto corretta - dice don Vincenzo Noto, già direttore del mensile cattolico Novica e oggi alla guida di un sito che porta il suo nome - continua le opere di carità e raccoglie alimenti per i poveri. Va ai mercati e glieli regalano perché conoscono lui e gli attivisti della sua associazione, “Dipingi la pace”. Il processo? Non lo so come finirà. Va avanti da tanto tempo». «Sono indignato - scrive don Turturro in un’altra riflessione scritta perwww.vincenzonoto.it - su come si possa fare informazione sul dolore degli altri. Sono indignato della privacy spiaccicata su tutti i giornali. Non posso divorziare dalla parola. Non posso divorziare dall’indignazione».