sabato 29 ottobre 2011

Quella volta che Steve Jobs telefonò al Papa

Steve Jobs da giovaneQuando era ancora uno studente, il genio della Apple chiamò in Vaticano spacciandosi per Henry Kissinger. L’ episodio raccontato nella biografia appena uscita.
GIACOMO GALEAZZI - CITTA' DEL VATICANO.
«Pronto, potrei parlare con Sua Santità?». Quella volta che Steve Jobs cercò il Papa al telefono spacciandosi per Henry Kissinger, eminenza grigia della Casa Bianca.
Per i geni di ogni epoca i Pontefici sono stati tradizionalmente mecenati o guide spirituali.

Nella nuova biografia scritta da Walter Isaacson, un episodio finora sconosciuto collega il fondatore della Apple al Soglio di Pietro. Quand’era ancora alla scuola superiore, Steve Jobs chiamò in Vaticano per parlare con il Papa. La vicenda risale al periodo iniziale del sodalizio tra Jobs e Steve Wozniak. A presentarli fu un amico che avevano in comune e malgrado la loro differenza d’età (Wozniak aveva cinque anni in più) i due divennero inseparabili a causa della passione per l’elettronica. Insieme inventarono la «scatola blu», un «sistema-pirata» che consentiva chiamate gratuite a lunga distanza utilizzando le reti delle grandi compagnie telefoniche internazionali. Per sperimentare la «scatola blu» Jobs telefonò in Vaticano presentandosi come il segretario di Stato, Usa Henry Kissinger e chiedendo di parlare con il Papa. Riuscì a conversare con diversi livelli di ecclesiastici di Curia, ma non a farsi passare il Sommo Pontefice. Del resto, non poteva che essere così. Il Papa se parla al telefono con qualcuno è perché decide di chiamare lui, precedentemente introdotto dal suo segretario particolare. Certo, chiunque, soprattutto i capi di Stato, possono chiedere un colloquio telefonico col Papa. Ma eventulmente il Papa richiama. Impossibile convocarlo alla cornetta senza preavviso.
Nella biografia di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson è riportata anche una intervista al capo della Apple, in cui questi parla del suo rapporto con la religione. «Fifty-fifty», questa l’espressione usata da Jobs: «Credo al 50%. A volte credo che Dio esista, a volte no”. E aggiunge: «Vorrei credere nella vita ultraterrena, ma ho il timore che alla fine ci sia solo un tasto on-off, un click, la luce se ne va e tu non ci sei più». Comunque, dopo la scoperta della malattia che l’ha portato alla morte, credeva «un po’ di più».
Quando era ragazzino la famiglia lo mandava in una chiesa luterana, riferisce il sito Friendly Atheist. Nel luglio del 1968 la rivista «Life» pubblicò una copertina con dei bambini che soffrivano per la carestia in Biafra. Jobs la mostrò al pastore presso cui andava a scuola la domenica, chiedendogli se Dio vedesse anche questo. Il pastore gli rispose: «So che non capisci, ma sì, Dio conosce anche questo». A quel punto, Jobs annunciò che non voleva più avere a che fare con l’ adorazione di un Dio del genere e non tornò più in chiesa.
Eppure Mr Apple è stato persino avvicinato a Sant’Ignazio da Loyola da padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e animatore del sito Cyberteologia.it. Il suo celebre «Stay hungry, stay folish» unisce sapienza e consapevolezza: vivere in modo intenso, come se fosse sempre l’ultimo giorno è una filosofia che avvicina Jobs al fondatore dei Gesuiti, secondo padre Spadaro. A giudizio dell’Osservatore Romano, pur nei suoi chiaroscuri (inevitabili in un personaggio tanto complesso) Steve Jobs è stato uno dei protagonisti e dei simboli della rivoluzione della Silicon Valley. «Rivoluzione informatica, certo, ma anche rivoluzione di costume, di mentalità, di cultura. Rivoluzione figlia, ma non erede, degli spregiudicati Seventies, l’adolescenza inquieta di un’America dilaniata da scandali politici, guerre, contestazioni e tensioni sociali. Rivoluzione che ha cavalcato l’onda dorata degli anni reganiani», sottolinea il quotidiano della Santa Sede.
Troppo piccolo per il ‘68 e troppo vecchio per Facebook, Jobs è stato un visionario (questo il termine che ricorre nelle descrizioni sulle testate giornalistiche) un visionario che ha unito tecnologia e arte. Non era certo un tecnico né un imprenditore. Non era un designer né un matematico. Non era il classico nerd informatizzato né l’uomo di spettacolo. «Pirata o pioniere? Sarà la storia a dirlo. Per il momento restano le sue geniali creazioni. «Costruendo personal computer e mettendoci internet in tasca ha reso la rivoluzione dell’informazione non solo accessibile, ma anche intuitiva e divertente» ha dichiarato il presidente Obama. «Audace abbastanza da credere di poter cambiare il mondo e con il talento per farlo».
Nato a San Francisco il 24 febbraio del 1955, Jobs comincia nel 1976 quando, insieme a Steve Wozniak e Ronald Wayne, fonda la Apple, dopo aver elaborato i primi progetti nel garage di casa. In soli dieci anni la società raggiunge i due miliardi di dollari di fatturato. Il lancio del primo Macintosh risale al gennaio del 1984 ma nel 1985 Jobs decide di lasciare la società. Il ritorno alla guida di Apple risale alla fine del 1998. Per rilanciare l’azienda in crisi Jobs punta tutto sulla musica. E vince: la rivoluzione inizia nel 2007 con un piccolo apparecchio, apparentemente innocuo ma che nel giro di pochi anni entra nel cuore e nella testa di migliaia di persone. «È l’iPod, lettore di musica digitale abbinato al negozio in rete iTunes. Si apriva così la corsa all’innovazione verso l’iPhone, l’iPad e iCloud. Talento, puro talento», riconosce il giornale del Vaticano.
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