lunedì 9 dicembre 2013

Goldman Sachs in Vaticano e finanzieri al confine

IOR
Una dettagliata inchiesta del Financial Times, firmata da Rachel Sanderson, rivela come le frettolose riforme dello Ior, propagandate come esclusiva farina del sacco di Francesco e della sua volontà di fare pulizia, siano state caldeggiate da anni proprio da grandi nomi della finanza internazionale quali JP Morgan e Goldman Sachs, con cui il Vaticano intrattiene da tempo rapporti privilegiati. Nel contempo, un’altra inchiesta su Il Fatto Quotidiano rende noto che, nonostante la sbandierata trasparenza, il Vaticano non ha tuttora fornito informazioni su migliaia di casi di esportazione di capitali in Italia. Tanto da ventilare l’ipotesi, da parte dell’agenzia delle dogane, di organizzare controlli dei finanzieri alle frontiere.

 
Due episodi che rimettono al centro della scena il difficile rapporto tra Vaticano e trasparenza finanziaria. Il giornale britannico fa sapere che a luglio Peter Sutherland, presidente della Goldman Sachs International nonché cattolico praticante con diversi incarichi in Europa e in Irlanda, ora consulente per la Santa Sede, si è recato in Vaticano per un incontro riservato. Lì ha parlato con papa Francesco e con la commissione di cardinali da poco istituita. In un discorso a porte chiuse tenuto nei dintorni della Casa Santa Marta, persino lui ha chiesto al Vaticano, come hanno fatto altri big della finanza, maggiore trasparenza finanziaria.
 

Le indiscrezioni del Financial Times

 
L’ultima odissea delle finanze vaticane dura ormai da anni, esploso quando i giudici italiani bloccarono alcuni conti dello Ior per decine di milioni di euro in istituti di credito nostrani. Da quel momento il susseguirsi di voci e rivelazioni (i cosiddetti vatileaks) ha evidenziato la scarsa trasparenza delle istituzioni vaticane. Le carte pubblicate da Gianluigi Nuzzi rendono evidenti gli intrecci tra politica italiana, gerarchie vaticane e interessi bancari, come confermato anche dall’archivio di Ettore Gotti Tedeschi, caduto in disgrazia e finito sotto inchiesta.
 
Il Financial Times, con interviste a una ventina tra banchieri, giuristi e insider in Vaticano raccolte nel corso di 11 mesi, ha reso noto quali problemi e imbarazzi abbia creato il Vaticano in Europa e negli Usa. Viene fuori che le riforme dello Ior sono state fatte “in parte a causa della pressione esercitata da banche quali Deutsche Bank, JP Morgan e UniCredit”, istituti nel mirino degli ispettori proprio “a causa delle loro relazioni d’affari con la Santa Sede”. Almeno trenta banche, tra cui i più grandi istituti del mondo, hanno svolto servizi per il Vaticano, dando alla Santa Sede accesso ai mercati finanziari esteri e movimentando qualcosa come 2 miliardi di euro all’anno provenienti da Oltretevere.
 
"si sentono rispondere che l’istituto vaticano opera “a modo suo”"
 
Dopo la pesante crisi finanziaria scoppiata nel 2008, è stato il timore di queste banche di veder danneggiata la propria reputazione a causa dei legami con lo Ior a spingerle a fare pressing sul Vaticano affinché si adeguasse agli standard internazionali e introducesse maggiore trasparenza. Molti professionisti della finanza, interpellati dal giornale, hanno reso noti documenti che dimostrano i rapporti col Vaticano, chiedendo comunque l’anonimato. Da almeno un paio d’anni gli istituti di controllo che pretendono spiegazioni dai responsabili di queste banche si sentono rispondere che l’istituto vaticano opera “a modo suo”, con scarsi controlli sui flussi di denaro e poca documentazione.
 
Solo lo scorso ottobre lo Ior ha fornito un report, in cui si contano 19 mila clienti da tutto il mondo, 33 mila conti e circa 5 miliardi in azioni. Metà dei clienti sono ordini religiosi, 15% da istituzioni della Santa Sede, 13% cardinali, vescovi e clero, 9% dalle diocesi cattoliche di tutto il mondo, il resto clienti con una qualche affiliazione con la Chiesa cattolica. Secondo gli insider, lo Ior viene inondato da donazioni e contanti che arrivano dalle questue durante le messe e per la carità. Circa un quarto dei flussi è in contanti, cosa che tra gli esperti pone seri rischi di riciclaggio di denaro sporco. E un terzo di tutto il business proviene da donazioni di istituzioni caritatevoli.
 
Una delle poche che ha parlato senza rifugiarsi nell’anonimato è il procuratore di Milano Laura Pedio, che ha seguito l’inchiesta sul crac dell’ospedale San Raffaele, creatura di don Luigi Verzè e colpito da fallimento e scandali sui finanziamenti ricevuti dalla Regione Lombardia retta dal ciellino Roberto Formigoni. Pedio si è detta stupita di riscontrare nel corso delle indagini un complesso sistema di deleghe e per l’impossibilità di conoscere i nomi dei beneficiari dei conti, talvolta non registrati ma conosciuti solo verbalmente da pochi funzionari vaticani. Uno dei consulenti dello Ior, commentando la scarsa trasparenza dell’istituto religioso e il pressing esercitato dalle istituzioni europee che ha scoraggiato le banche, si lascia andare: “Non siamo qui per salvare il culo al Vaticano”.

La difficile transizione verso la trasparenza

 
Negli ultimi anni lo Ior ha anche finanziato attività umanitarie e religiose nel mondo, specie verso i cristiani in difficoltà a Cuba e in Egitto, talvolta senza fornire informazioni e in maniera segreta. Ma chi conosce questo sistema ammette che tale modo di operare può dar luogo ad abusi per chi vuole frodare le tasse o per il crimine organizzato. Un andazzo cominciato con i finanziamenti occulti a Solidarnosc in Polonia. Fino al 2008 la politica della Santa Sede è stata “indulgente” e non si è fatto nulla per la trasparenza, fa sapere un altro ex banchiere del Vaticano. La situazione è cambiata solo con la crisi europea, quando organismi finanziari dell’Unione hanno si sono attivati, e quando sono iniziate le inchieste in Italia. Anche UniCredit, come altre banche, ha troncato i legami con lo Ior.
 
"non si adegua agli standard internazionali sull’anti-riciclaggio"
 
Visto che l’Ue non ha autorità sullo Ior, la Banca d’Italia governata allora da Mario Draghi ha fatto pressione sugli istituti di credito in rapporti con il Vaticano. Un ex ministro italiano, di cui non viene rivelato il nome, rende noto: “È questo il modo in cui occorre comportarsi in queste situazioni, quando hai uno stato sul quale non hai poteri di regolamentazione ma che vuoi applicare dei cambiamenti: gli rendi la vita molto difficile, dici alle banche che non gli è consentito fare affari con loro”. Nel 2009 Benedetto XVI dà la presidenza dello Ior a Ettore Gotti Tedeschi, con l’incarico di riformarlo, chiede un’ispezione da parte di Moneyval e crea l’Autorità di informazione finanziaria.
 
Ma Gotti Tedeschi si scontra con i cardinali e nel 2012 gli viene dato il benservito. Le banche sono preoccupate perché il Vaticano non riesce a garantire trasparenza e non si adegua agli standard internazionali sull’anti-riciclaggio. Tanto che JP Morgan chiude il conto dello Ior, perché la Santa Sede non aveva fornito informazioni sufficienti su transazioni finanziarie negli Usa.
 
Moneyval ha riscontrato gravi problemi nella finanza vaticana, in particolare l’Aif manca di poteri legali e l’indipendenza richiesta per monitorare e sanzionale le istituzioni vaticane. Ma se ne esce, non estraneo l’aiuto del governo italiano guidato da un altro cattolico, Mario Monti. A quel punto finisce nel mirino anche Deutsche Bank, che fornisce dal 1997 al Vaticano 80 atm: la Deutsche Bank, su sollecitazione di Bankitalia, chiude i conti dello Ior alla fine del 2012 e i bancomat vengono disattivati. Il papa nomina quindi per l’Aif Rene Bruelhart, banchiere svizzero già a capo dell’intelligence finanziaria del Liechtenstein, e per lo Ior Erns von Freyberg. Qualche settimana dopo gli atm vengono ripristinati. E solo qualche giorno fa la Santa Sede ha firmato un protocollo d’intesa con la Germania sul riciclaggio.
 

Francesco e lo Ior: nuovo corso?

 
Dopo le dimissioni di Joseph Ratzinger, a marzo arriva l’elezione di Jorge Mario Bergoglio, un gesuita che fa proclami di povertà e umiltà. Il nuovo papa manda segnali decisi per riformare le finanze vaticane, velocizzando il processo già avviato anni prima dal predecessore. Viene rafforzata l’Aif e secondo fonti di Bankitalia il nuovo papa “ha fatto passi importanti verso una riforma reale della struttura legale e istituzionale”. Ma arriva le tegola dell’arresto di monsignor Scarano, contabile dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica indagato e finito ai domiciliari, che ora lamenta di essere stato scaricato dalla Chiesa.
 
"l’ente che gestisce il patrimonio della Santa Sede operava senza regole chiare"

Questa estate Sutherland, capo della Goldman Sachs, arriva in Vaticano e incontra a colazione papa Francesco. Vengono ingaggiati in ottobre anche funzionari di Promontory Financial, azienda privata di controllo finanziario, come impiegati dello Ior. Lo staff della “banca” vaticana, prima dominato dagli italiani, vede ora molti stranieri che iniziano a fare pulizia: con il loro intervento si cominciano a chiudere centinaia di conti sospetti. Si verifica anche la trasparenza dell’Apsa, con cinque consulenti esterni (tra cui Sutherland e Bob McCann, direttore esecutivo di UBS Americas). Anche lì sono stati scoperti diversi conti che andranno trasferiti, segno che fino a quel momento anche l’ente che gestisce il patrimonio della Santa Sede operava senza regole chiare. Viene stato assunto come direttore generale dello Ior Rolando Maranci, esponente del ramo italiano di BNP Paribas.
 
Nonostante la buona predisposizione di Francesco, il Vaticano ha tuttora grane imbarazzanti a livello finanziario. Nelle scorse settimane l’ex direttore dello Ior Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli sono stati indagati per violazione delle norme anti-riciclaggio, quindi interrogati dalla Procura di Roma per operazioni del 2010.
 
A parte le dichiarazioni concilianti e collaborative e il nuovo corso, l’Aif si rifiuta di collaborare sul fronte del riciclaggio con lo stato italiano. Il sospetto è che ci siano migliaia di evasori fiscali ed esportatori di capitali che hanno prelevato ingenti somme dallo Ior e le hanno portate in Italia senza dichiararlo alla dogana. Dopo un’inchiesta del Fatto Quotidiano una deputata del Movimento 5 Stelle, Silvia Chimenti, ha promosso un’interrogazione al ministero dell’Economia. Il Tesoro ha ammesso che in due anni ci sono addirittura 3669 mancate dichiarazioni per flussi di denaro superiori ai 10 mila euro dal Vaticano, in violazione delle leggi. Alla dogana italiana ne risultano meno di una ventina. Giuseppe Peleggi, direttore dell’Agenzia delle dogane, già a maggio ha chiesto formalmente lumi all’Aif, che però non ha mai fornito riscontro. La dogana ravvisa quindi l’opportunità di far sorvegliare dalla guardia di finanza i punti di entrata e uscita dal Vaticano all’Italia.
 
Tutto ciò ha dell’incredibile perché per far arrivare a tanto le nostre clericalissime istituzioni non è azzardato sospettare che il giro di capitali in fuga dal Vaticano sia imponente e che ci siano diffuse irregolarità non sanate dal nuovo corso. Del resto, è proprio di oggi la notizia del coinvolgimento dello Ior quale parte truffata in un giro di falsi titoli di stato per un valore di 900 milioni di dollari: il Vaticano sembra essere diventato il canale privilegiato per la delinquenza finanziaria organizzata. La lenta e travagliata riforma dello Ior ricorda molto da vicino lo scandalo pedofilia clericale su cui ha chiesto spiegazioni l’Onu. Anche in quel caso le istituzioni internazionali hanno messo sotto pressione il Vaticano per le diffuse coperture e insabbiamenti di preti accusati di abusi sessuali su minori. La Santa Sede non ha fornito i dati richiesti, sostenendo tra l’altro che Santa Sede e Chiesa cattolica sono entità distinte. Ma i giornali e i media nostrani, ormai vittime della loro stessa papolatria, parlano quasi solo della commissione istituita dal papa per proteggere le vittime, omettendo il resto.
 
"Francesco critica i poteri forti mentre fa colazione col capo di Goldman Sachs"

I pontefici periodicamente prendono di mira la finanza internazionale, con proclami che ne criticano l’assenza di umanità, la corsa al profitto e la volatilità che da un giorno all’altro può mettere in crisi intere nazioni. Ma proprio il Vaticano è stato da decenni e continua ad essere uno degli hub principali dove hanno luogo operazioni finanziarie poco trasparenti, sempre più nel mirino delle stesse banche e delle organizzazioni internazionali. E solo in questi ultimi anni, su sollecitazione proprio di istituti del calibro di JP Morgan e Goldman Sachs, la Santa Sede è stata costretta a fare pulizia e adeguarsi agli standard minimi di trasparenza. Come d’altronde facciamo notare da tempo, queste riforme interne sono a orologeria, sempre tardive e spinte dall’esterno, ma vengono dipinte come assolute novità del pontificato “rivoluzionario”. Tuttavia, papa Francesco critica i poteri forti mentre fa colazione col capo di Goldman Sachs, suo consulente. Nell’imbarazzante silenzio o quasi dei giornali nostrani e della tv pubblica, ampiamente colonizzata da cattolici: tanto che a parlare di questo ghiotto scoop del Financial Times si trova solo Internazionale e poco altro. Come già avvenuto con l’inchiesta del britannico Guardian sulla gestione opaca dei fondi erogati dal regime fascista grazie ai Patti Lateranensi.