La comprensione del soggetto umano nell’antichità classica è il volume di Rodolfo Mondolfo che Bompiani ha di recente ripubblicato.
Edito per la prima volta nel 1958, contributo fondamentale per chi voglia affrontare il problema della concezione del soggetto nell’antichità classica, l’opera non si smentisce per originalità e singolarità delle posizioni sostenute, ed è un bene che finalmente nel nostro Paese si riscopra un personaggio che sembrava totalmente dimenticato. Mondolfo è infatti pressoché sconosciuto agli italiani, anche perché fu costretto a emigrare nel 1939 in Argentina a causa delle leggi razziali che gli avevano negato la possibilità di insegnare all’Università in quanto ebreo. Nato a Senigallia nel 1877 Mondolfo è morto a Buenos Aires nel 1976 lasciando una ingente quantità di volumi, saggi e articoli, scritti in italiano e in spagnolo. Porre al centro della filosofia e della politica l’essere umano è stato il suo intento principale e, in questa direzione, egli rilegge e reinterpreta la filosofia greca con uno scopo preciso e chiaro: contrapporsi all’interpretazione idealistica – in particolare di Giovanni Gentile – secondo cui il soggetto diviene centrale soltanto con la filosofia cristiana. Il pensiero antico privilegiava una filosofia oggettivistica e finitistica, sosteneva l’idealismo, e solo il cristianesimo avrebbe compiuto la grande rivoluzione di ricollocare al centro l’umano e l’infinito. Secondo Mondolfo, al contrario, il cristianesimo non ha inventato proprio nulla e si è limitato a riprendere temi e problematiche già presenti nella Grecia antica.
Per Mondolfo la filosofia di Talete, Anassimene e Anassimandro, conosciuta come filosofia scientifica e naturalista, ha proiettato nella natura qualità suggerite dall’esperienza interiore del soggetto. Di conseguenza tutto il naturalismo presocratico è una filosofia antropocentrica. Come insegna Feuerbach – autore assai caro a Mondolfo – «è l’uomo il primo oggetto per l’uomo» ed egli giunge alla conoscenza di sé e della natura attraverso la conoscenza dei suoi simili. Il concetto di “alienazione” di Feuerbach è centrale in questo libro e viene utilizzato da Mondolfo per spiegare la divinizzazione che gli antichi greci attuavano del mondo, di modo che «il problema ontologico si converte in problema psicologico». Anche Democrito spiegava le «apparizioni malefiche» dei sogni come «una proiezione dei sentimenti di invidia e di odio di persone malevole». Il timore che gli uomini nutrono degli dèi non è che il riflesso dell’agitazione interna della coscienza colpevole e le rappresentazioni dell’inferno sono credenze meramente soggettive. Per Mondolfo dunque non c’è alcuna filosofia cristiana, il cristianesimo ha soltanto uno scopo pratico – di assistenzialismo e di cooperazione – e non valore speculativo. Anche la «coscienza interiore», il «senso di colpa e del peccato», si ritrovano già nelle opere di Omero e di Esiodo, poi nelle tragedie di Sofocle, Eschilo, Euripide, per cui c’è continuità fra cultura greca e cultura cristiana. «Solo sulla base del messaggio cristiano l’uomo ha scoperto di avere valore assoluto come “persona”» si affretta a precisare nella sua presentazione al volume Giovanni Reale che, dopo aver confermato la grandezza del filosofo di Senigallia, sottolinea che la sua interpretazione è fondamentalmente errata. Ancora una volta la lettura laica di Mondolfo viene rifiutata quando invece c’è proprio bisogno di interpretazioni come questa per restituire al nostro Paese una cultura seria e profonda fatta da quegli uomini e quelle donne che laicissimamente e senza compromessi si sono battuti e si battono per ridare dignità all’essere umano.
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