Negli ultimi 60 anni, l'estensione delle aree colpite da siccità nel mondo non sarebbe aumentata: lo afferma un nuovo studio, che rimette in discussione parametri e modelli per valutare l'impatto del global warming sull'ecosistema. In particolare, non sarebbero stati presi in considerazione diversi fattori, come la velocità del vento, l'umidità relativa e l'irraggiamento solare. Inoltre, indicare la temperatura come causa della siccità trascura il fatto che in condizioni asciutte il rapporto causale è spesso invertito: è la siccità a indurre un aumento delle temperature (red)
L'intensità e la frequenza degli episodi di siccità in futuro aumenteranno. È quanto si prevede, tenuto conto del cambiamento climatico in corso, per effetto della diminuzione delle precipitazioni locali e dell'incremento dell'evaporazione dovuto al maggior caldo. Ma se il fenomeno appare incontrovertibile nelle linee generali, la sua intensità nelle varie zone del mondo è molto incerta. Con una diversa valutazione dei dati disponibili, l'estensione delle aree colpite negli ultimi sei decenni non risulta aumentata: è quanto afferma Justin Sheffield, del Dipartimento d'ingegneria civile e ambientale della Princeton University, in un nuovo studio apparso su “Nature”.
Le previsioni dell'impatto del riscaldamento globale vengono effettuate sulla base della valutazione del trend che si è manifestato negli ultimi decenni, valutazione che, secondo Sheffield e colleghi, è affetta da un errore sistematico. Sotto accusa, in particolare, sono le stime condotte usando uno strumento denominato Palmer Drought Severity Index (PDSI), che tiene conto di un semplice modello di bilancio dell'acqua che entra ed esce dal terreno, di cui fanno parte come variabili le precipitazioni mensili e le temperature rilevate.
L'inaridimento del terreno consiste in una perdita via via più marcata dell'umidità del suolo. In termini teorici, i fattori che lo determinano sono ovviamente una mancanza di precipitazioni e/o un incremento del processo di evapotraspirazione, un termine che comprende sia la traspirazione attraverso le piante sia l'evaporazione diretta dalle superfici umide, dai corsi d'acqua e dai laghi.
Ma come contribuisce l'evapotraspirazione alla siccità? La maggior parte dei modelli teorici si esprime in termini di evapotraspirazione potenziale, un'astrazione
risalente agli anni cinquanta che può avere differenti formulazioni, che a loro volta portano a stime diverse dei trend di siccità nell'arco dei decenni. In particolare, nell'approccio PDSI l'evaporazione potenziale è stimata come se dipendesse unicamente dalla temperatura e dalla latitudine. Si tratta della cosiddetta formulazione di Thornthwaite, che trascura il ruolo di diversi fattori, quali per esempio la velocità del vento, l'umidità relativa e l'irraggiamento solare. Inoltre, indicando la temperatura come causa della siccità si ignora il fatto che in condizioni asciutte il rapporto causale è spesso invertito: è la siccità a indurre un aumento delle temperature.
Oggi queste difficoltà possono essere superate perché esiste un database completo di misure di queste variabili, che consente di valutare con più precisione l'impatto sui trend di evaporazione potenziale e della siccità risultante, grazie a una formula detta di Penman–Monteith. Applicando questo metodo di calcolo, Sheffield e colleghi mostrano che i trend mondiali della siccità sono assai meno drammatici di quelli ottenuti con la formulazione di Thornthwaite. In definitiva, argomentano gli autori dell'articolo, le prove di un fenomeno di espansione delle aree colpite nei sei decenni passati sono limitate.
Continua dunque il dibattito nella comunità scientifica per definire meglio gli scenari climatici futuri e il loro impatto sul pianeta. Come si legge nel recente rapporto IPCC dell’ONU sugli eventi estremi e sui disastri ambientali, “esiste ancora un ampio margine d’incertezza nei trend globali che riguardano il fenomeno della siccità”.
http://www.lescienze.it/news/2012/11/15/news/stime_inaridimento_rivedere_modelli-1367745/