Dopo il violento attacco di mons. Muller, prefetto dell’ex Sant’Uffizio, gli atei e gli agnostici sono stati presi di mira ieri anche dal papa. Benedetto XVI si è tuttavia rivelato assai più sottile del suo connazionale, e insieme ad alcune franche ammissioni sullo stato della fede nel mondo contemporaneo ha delineato la strategia per cercare di recuperare le pecorelle smarrite. La “nuova evangelizzazione”, di cui hanno appena finito di discutere i vescovi in plenaria, passa necessariamente per questa via. Il programma, tuttavia, ci sembra assai poco convincente.
Con preoccupazione, il papa riconosce che oggi ”certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura”. Nel passato “l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana” e “piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità”. Invece nei giorni nostri, in cui hanno diritto di cittadinanza alternative alla religione e il supporto del potere coercitivo è meno diretto, “la situazione è cambiata e sempre di più il credente deve essere capace di dare ragione alla sua fede”. L’epoca contemporanea è caratterizzata da “forme sottili e capziose di ateismo teorico e pratico”.
Avanzano secolarismo e ateismo
Dall’illuminismo “la critica alla religione si è intensificata” e in alcuni “sistemi atei” Dio è considerato “una mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni”. Nel secolo scorso c’è stato un “forte processo di secolarismo, all’insegna dell’autonomia assoluta dell’uomo”. ”Fenomeno particolarmente pericoloso per la fede”, ammonisce Benedetto XVI, è “una forma di ateismo” definito “pratico”, “nel quale non si negano le verità della fede o i riti religiosi, ma semplicemente si ritengono irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili”. Modo di vivere ritenuto “ancor più distruttivo”, “perché porta all’indifferenza verso la fede e verso la questione di Dio”. Probabilmente il papa in questo caso si rivolge, senza dirlo esplicitamente, ai tanti che si professano ‘cattolici’ ma vivono come se Dio non ci fosse, piuttosto che ai non credenti.
Secondo il capo della Chiesa cattolica l’uomo “separato da Dio è ridotto a una sola dimensione, quella orizzontale”. E tale “riduzionismo” è ritenuto “una delle cause fondamentali dei totalitarismi” nonché “della crisi di valori che vediamo nella realtà attuale”. Tale assunto, ripetuto ossessivamente come un mantra dalle gerarchie religiose, non viene corredato da evidenze a supporto. “Oscurando il riferimento a Dio, si è oscurato anche l’orizzonte etico, per lasciare spazio al relativismo e ad una concezione ambigua della libertà” e “l’uomo pensa di poter diventare egli stesso «dio», padrone della vita e della morte”, aggiunge il papa. Un salto logico, quello raztingeriano, semplicistico e rivelatore di un’attitudine esclusivista, ben poco aperta ad altri modi di concepire la vita.
Le tre “vie” di Ratzinger
Date le premesse non è una sorpresa constatare come le tre soluzioni poi fornite dal papa per risollevare la fede cristiana siano insufficienti e scontino una visione irrimediabilmente asfittica. Di fatto riciclando vecchi cliché e sfoderando pensatori ‘moderni’ del calibro di sant’Agostino.
In primo luogo, Benedetto XVI fa appello alla “bellezza” della natura, per “far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione”. Il mondo “non è un magma informe”, ma “più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno”, “un’intelligenza creatrice”. Qui il papa fa un coming out rivelatore della sua vicinanza all’intelligent design. E non poteva mancare la citazione (fuori contesto) di Albert Einstein sulla “razionalità dell’universo”. Il deismo di matrice spinoziana del noto scienziato viene piegato ad maiorem Dei gloriam, nonostante lo stesso Einstein abbia ribadito la sua netta lontananza dalla concezione cristiana del mondo. Ad esempio nella nota lettera a Eric Gutkind del 1954, in cui definiva “la parola Dio niente più che espressione e prodotto della debolezza umana e la Bibbia una collezione di onorevoli, ma ancora primitive leggende che nonostante ciò abbastanza infantili”. Proprio il contrario di ciò che intende sostenere il religioso.
Sparata la prima cartuccia, Joseph Ratzinger passa all’interiorità dell’uomo, alla ”capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare”. E come kit per questo self-help in salsa cristiana consiglia nientemeno che il Catechismo.
Si arriva poi alla “fede”. Il credente deve vivere come se fosse sempre in ‘missione’. “La sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto” da ostentare in ogni aspetto della vita quotidiana. E Benedetto XVI assicura che la fede ”non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo”. Ma i suoi discorsi, infarciti di termini sospesi tra l’appello al pathos e all’emotività, tradiscono proprio questa attitudine.
La debolezza della ‘nuova’ evangelizzazione
Se queste sono le strategie delineate dalla massima autorità del cattolicesimo, non è arduo capire perché “oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana”, identificata come “un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia”. È difficile che si riesca a convincere un ateo o un agnostico consapevole delle proprie posizioni a suon di dogmi, citando sant’Agostino o ricorrendo a tautologie. Appare buffa la rappresentazione della vita “piena” solo se ha due “dimensioni”: non ci si rende conto che sarebbe piatta, schiacciata da una fede scelta tra mille (e spessissimo imposta da altri). Invece di aggiungere dimensioni all’esistenza umana, in questo modo non si fa altro che ridurle, in nome di una verità rivelata di cui è l’infallibile detentore e sulla base di una precisa dottrina.
Riuscirà Ratzinger a riconquistare le anime dei non credenti? Se le argomentazioni su cui vuol far leva sono queste, ci sembra assai difficile. Soprattutto perché, come abbiamo già fatto notare a proposito di mons. Muller, anche il papa non sembra proprio aver capito come vivono e come la pensano atei e agnostici. Pensare che la loro vita sia “orizzontale” solo perché manca della dimensione “verticale” del trascendente è un errore grossolano, ed è – questo sì – assai riduttivo di quasi un miliardo di esseri umani, tanti dei quali vivono un’esistenza “piena” e realizzata. Il papa deve convincerli che una vita all’insegna dei dogmi ecclesiastici lo sia assai di più. Discorsi come quello di ieri non ci riusciranno probabilmente mai.