Si è aperta la caccia alle «talpe» che hanno divulgato i documenti riservati. Ma sullo sfondo c’è una lotta senza esclusione di colpi tra diverse cordate
ANDREA TORNIELLI
città del vaticano
Si è aperta in Vaticano la caccia alle talpe che hanno fatto e continuano a far uscire lettere e documenti riservati, a una settimana dall’esplosiva puntata de «Gli intoccabili» programma di giornalismo investigativo trasmesso sul canale italiano La7 e condotto da Gianluigi Nuzzi. Mercoledì scorso sono stati presentate in video alcune lettere riservate indirizzate dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò – oggi nunzio negli Usa, all’epoca segretario del Governatorato vaticano – al Papa e al cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone.
Lettere contenenti pesanti rilievi contro prelati e laici della Santa Sede, accusati di ruberie, e contro laici dell’entourage di Bertone.
Lettere contenenti pesanti rilievi contro prelati e laici della Santa Sede, accusati di ruberie, e contro laici dell’entourage di Bertone.
Il clima avvelenato si è arricchito negli ultimi giorni di nuove puntate: sul quotidiano italiano «Il Giornale» monsignor Viganò è stato pesantemente screditato per un contenzioso giudiziario con i familiari a motivo della gestione dell’ingente patrimonio (30 milioni di euro) condiviso con un fratello sacerdote, che il prelato avrebbe voluto far dichiarare incapace perché manipolato da una sorella. Un anno fa proprio «Il Giornale» aveva pubblicato una serie di articoli anonimi, che esaltavano l’attuale Segretario di Stato, definito «ammiraglio» della «flotta di Benedetto XVI», con parole così smaccatamente elogiative da risultare imbarazzanti per lo stesso interessato. La stessa mano anonima, aveva vergato e fatto mettere in pagina sullo stesso quotidiano anche due articoli contro monsignor Viganò, pronosticandone la cacciata e mettendone in luce il nepotismo (in effetti il prelato ha fatto chiamare in Segreteria di Stato un suo nipote sacerdote). Sabato scorso lo stesso giornale è tornato ad attaccare l’ex segretario del Governatorato con un articolo anonimo, affiancato a quello sopra citato sui guai familiari di Viganò, nel quale si accusa il prelato nunzio negli Usa di essere il regista della diffusione delle lettere ai media presentandolo come uno che ha tradito il Papa.
A ben guardare, al di là della semplicistica affermazione secondo la quale una lettera può essere divulgata o dai destinatari (ed è alquanto improbabile che lo abbiano fatto il Papa o il Segretario di Stato) o dal mittente, la rapida e interessata attribuzione di responsabilità a Viganò, appare ogni giorno sempre più dubbia. Innanzitutto, sulla lettera inviata a Bertone era ben visibile il timbro «Ricevuto il 9 maggio», apposto dall’ufficio che riceveva la copia della missiva. Non va inoltre dimenticato che nel corso della trasmissione «Gli Intoccabili» sono stati esibiti altri documenti inediti e riservati – un appunto del presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi a Bertone sul problema dell’ICI, la tassa sugli immobili italiana; una lettera anonima riguardante il vescovo ausiliare dell’Aquila Giovanni D’Ercole – che sembrano tutti provenire dalla Segreteria di Stato. Il 31 gennaio, un altro giornale italiano, «Il Fatto Quotidiano», pubblica una nuova lettera che non riguarda per nulla il caso Viganò, quanto piuttosto l’applicazione delle norme antiriciclaggio per rendere trasparente e adeguato agli standard internazionali il sistema finanziario della Santa Sede. Norme che non sarebbero considerate retroattive.
Che il regista della fuga di documenti non sia Viganò lo dimostra la provenienza di carte così diverse uscite tutte da Oltretevere. Come pure una considerazione logica: il nunzio a Washington si trova ora in una situazione di grande imbarazzo. Anche se i media internazionali lo presentano come un cavaliere senza macchia e senza paura, alfiere della lotta alla corruzione, non può sfuggire il fatto che il tono di quelle missive riservate al Papa, e la loro pubblicazione dopo appena pochi mesi, costituisce un handicap per il lavoro del diplomatico vaticano, chiamato per dovere d’ufficio a mantenere i rapporti con i vescovi. E soprattutto a raccogliere notizie sui candidati all’episcopato nonché a essere tramite discreto delle comunicazioni riservate tra i vescovi e la Santa Sede. Il primo incontro del nuovo nunzio con la Conferenza episcopale statunitense è andato bene. Ma è ancora troppo presto per sapere come reagiranno i vescovi Usa di fronte al caso «wikileaks» vaticano, di fronte alle accuse lanciate da Viganò nelle sue lettere e a quelle pubblicate contro Viganò da alcuni giornali. Notizie che già stanno facendo discutere in altre parti del mondo.
È ben nota l’esistenza di un’opposizione interna a Bertone, che ha ricompattato «anime» diverse della curia wojtyliana: si sono spesi per cercare di evitare la promozione-rimozione di Viganò i cardinali Giovanni Battista Re e Agostino Cacciavillan, e non si deve dimenticare che il predecessore di Bertone, il cardinale Angelo Sodano, lasciò il suo incarico a 78 anni, dopo essere stato anche lui pesantemente e pubblicamente criticato per una vicenda che vedeva implicato un suo nipote in un giro di compravendite immobiliari delle diocesi statunitensi, insieme al controverso imprenditore Raffaello Follieri. L’attuale Segretario di Stato compirà la stessa età il prossimo dicembre: è risaputa la stima del Pontefice per lui e al momento non appare in agenda una sua sostituzione, ma appaiono enfatiche e sorprendenti certe ricostruzioni secondo le quali Bertone sarà «Segretario di Stato a vita» e anche «papabile».
Un fatto è certo: la divulgazione delle lettere attesta che è in atto uno scontro di potere tra cordate. Nel mirino non c’è il Papa, come vorrebbero far credere coloro i quali, negli ultimi anni si sono sempre fatti scudo di Benedetto XVI per coprire i loro errori. Nel mirino c’è piuttosto il cardinale Bertone, la cui fedeltà a Ratzinger non è mai stata messa in discussione, ma sulla cui gestione della Segreteria di Stato si sono moltiplicate le perplessità anche da parte di molti porporati ratzingeriani. Le vicende dell’ultimo anno – dalla tentata scalata dell’Istituto Toniolo, cassaforte dell’Università Cattolica al tentativo di acquistare l’ospedale San Raffaele di Milano – hanno fatto crescere anche la perplessità su alcuni consiglieri laici di cui si circonda il cardinale.
Di fronte a questa situazione appare surreale quanto lo stesso Bertone, secondo quanto pubblicato dal quotidiano «Il Tempo», avrebbe scritto nell’appunto servito da base per la riunione dei capi dicastero della curia romana che si è tenuta sabato scorso in presenza del Papa, destinata ad affrontare il problema di un maggior coordinamento tra uffici curiali, come pure a evitare le «fughe di notizie». Il Segretario di Stato si sarebbe lamentato con i blog e la loro «passione per le notizie minute del pettegolezzo ecclesiastico, che minano il prestigio della Santa Sede e giungono talora ad ostacolare il clima di fiducia e collaborazione tra i suoi diversi organismi». Ancora una volta, la responsabilità per la situazione attuale, sarebbe dunque da impuntare ai giornalisti, a chi divulga le notizie. Un rilievo alquanto curioso, anche perché la vicenda Viganò, con gli articoli anonimi, come pure altre vicende passate e recenti (dal caso Boffo, il direttore del quotidiano cattolico italiano «Avvenire» costretto a dimettersi dopo la pubblicazione di una «velina» risultata poi apocrifa), mostra invece che c’è stato chi, anche negli ambienti ecclesiastici, in questi ultimi anni ha cercato di usare i media a proprio vantaggio, per giocare le proprie battaglie, per ostacolare o favorire carriere.
Si ha comunque l’impressione che tutto ciò non sia percepito Oltretevere nella sua drammaticità, per l’esito devastante sull’opinione pubblica e sui fedeli, sempre più positivamente colpiti dalla profondità del messaggio di Benedetto XVI, ma amareggiati dall’emergere di comportamenti così poco corrispondenti in quanti dovrebbero tradurlo in pratica