Gli ebrei non sono identificabili in una razza, poichè sono sparsi in tutto il mondo e hanno assunto la nazionalità dei Paesi in cui vivono. E non si riconoscono neppure, come avviene per i cristiani, in una religione, dal momento che vi sono credenti e non credenti e tra i credenti quelli più tiepidi e quelli più o meno osservanti dei precetti religiosi, con differenze sostanziali a seconda del grado di "ortodossia" che professano. Forse ciò che unisce veramente gli ebrei di tutto il mondo è la comunanza del destino. Un destino fatto di persecuzioni millenarie motivate dapprima da questioni prettamente religiose, una specie di castigo generazionale per espiare la colpa di essere stati i carnefici di Gesù, inasprito da una recrudescenza persecutoria per non aver mai voluto convertirsi al cristianesimo. Via via con il passare dei secoli, le persecuzioni antiebraiche hanno preso a pretesto la sfera sociale relegando gli ebrei nel novero di una "specie" negativa fatta di cinici usurai e di accentratori di fortune terrene. Il nazismo infine, pescando nel torbido delle componenti sociali, religiose e nazionaliste, inventò la questione razziale decretando con la "soluzione finale" l'olocausto di sei milioni di ebrei nell'inferno dei campi di sterminio. Ma, a parte il destino, il denominatore comune di tutti gli ebrei è la consapevolezza di essere i discendenti di Abramo, il Patriarca che circa 4000 anni fa si votò al servizio del Dio Unico, creatore del cielo e della terra, e che strinse con lui l'Alleanza simboleggiata dalla circoncisione. Abramo e la sua discendenza dovevano diffondere la fede nel Creatore, comportarsi con rettitudine e giustizia, non avere altro Dio all'infuori di Lui. In cambio Dio avrebbe vegliato su di loro e gli avrebbe donato il possesso della Terra Santa. I termini di tale Alleanza erano descritti nella Torà, parola che significa Legge, Insegnamento, e che è considerata rivelazione divina. Essi avevano come fondamento il riconoscimento dell'esistenza di Dio, della sua incorporeità, della sua funzione di Creatore, della sua infinita bontà e provvidenza . Composta da cinque libri, la Torà, prima parte della Bibbia conosciuta dai cristiani come Antico Testamento, è il fondamento su cui si basa l'intero sistema religioso ebraico e contiene le regole della vita sacerdotale di Israele mescolate a narrazioni relative alle origini del mondo, alla nascita del popolo ebraico in terra Caldea, alla rivelazione fatta dal Dio Unico ad Abramo, fino alle Tavole della Legge che Mosè ricevette sul Monte Sinai da Dio stesso, quei Dieci Comandamenti quasi simili a quelli fatti propri dal cristianesimo. Vi si trovano leggi morali, precetti positivi o negativi (Non ammazzare, non rubare), la cui osservanza è volta a trasformare positivamente l'individuo e la società. Negli anni della diaspora, dopo il 135 d.C., quando gli ebrei , perduto definitivamente il loro territorio, si sparsero per il mondo, la loro coesione fu garantita dal Talmud, uno studio della Torà che conteneva una sintesi della Legge orale tramandata dagli antichi ebrei nomadi, redatto in centinaia di anni dai Dottori della Legge.
I principi fondamentali dell'ebraismo sono la fede in un solo Dio e la concezione di Israele come popolo eletto incaricato di diffondere tale fede. ll Dio unico non è tuttavia un'astrazione. E' il Dio vivente, che sovrintende alla creazione e alla conservazione delle creature, sia come complesso che nella loro individualità. Dio è un giudice che pone il creato di fronte alle sue esigenze e ai suoi giudizi. Egli si prende cura degli uomini che non abbandonerà mai, ma anzi li ricompenserà. La sua bontà fa di Lui un redentore che non cerca vendetta, ma vuole liberare il mondo dai suoi peccati per salvarlo e colmarlo di felicità. Dio, com'è scritto nel Talmud, è "il nostro Padre che sta nei cieli" ed è puro spirito, onnisciente ed eterno. All'uomo spetta il compito di collaborare con Dio nella realizzazione del progetto di salvare il mondo attraverso l'obbedienza alla legge morale, un'imitazione terrena degli attributi divini di bontà, misericordia e giustizia. Il regno di Dio non è limitato all'aldilà, ma va realizzato già in terra ad opera dell'uomo sotto la guida di Dio. Il mondo terreno è l'anticamera del Regno di Dio che verrà inaugurato dal Messia, un essere mortale il cui avvento è tuttora atteso, strumento della riabilitazione di Israele a possedere la sua patria d'origine. Grazie alla collaborazione di Israele reintegrato nella sua potenza, il Messia saprà rigenerare l'umanità intera, consentendo a tutti gli uomini di approdare al Regno universale di Dio.
L'ebraismo nega l'esistenza del peccato originale, crede nel libero arbitrio e pertanto nella libertà di scelta fra virtù e peccato. La colpa di Adamo ha causato solamente la mortalitá del corpo. ll tornare a Dio, dopo il peccato, è sufficiente per redimersi secondo un giudizio divino che segue un'imperscrutabile volontà in nulla simile a quello umano. Dopo la morte i giusti saranno premiati con la vita eterna e avranno accesso al Gan Eden (Giardino delle delizie) in cui godranno della presenza di Dio. Tale beneficio non è riservato solo al popolo di Israele ma ai giusti di tutte le nazioni del mondo. La salvezza, per i non ebrei, consiste nell'osservanza delle sette leggi rivelate da Dio nella notte dei tempi a Noè: rifiuto dell'idolatria, dell'incesto, della bestemmia, del furto e dell'omicidio, della consumazione di membra estirpate a un animale vivente e obbligo di comportarsi secondo giustizia.Chiunque viva ispirandosi a questi precetti è già vicino a Dio e, se appartiene a un'altra religione purchè monoteista, può legittimamente aspirare al regno dei cieli senza gli obblighi di sottostare ai precetti religiosi ebraici, riservati a Israele.
L'ebraismo, che si propone essenzialnente come modello di comportamento, non presenta dogmi, eccetto quello che definisce la Torà rivelazione divina, e ammette il dubbio e la tendenza a mettere in discussione qualunque verità. Fra i suoi precetti fondamentali vi è quello di garantire il diritto alla vita e di contrastare tutto ciò che la mette in pericolo.La giustizia e la rettitudine esigono che la libertà e l'uguaglianza siano garantite in ogni situazione e in tutti i rapporti umani. L'odio e la vendetta, la calunnia e l'offesa che sono un oltraggio all'onore degli altri sono considerati un oltraggio a Dio stesso. Anche i diseredati e gli animali hanno diritto alla giustizia e farli soffrire è ritenuto un grave delitto. Consolare gli afflitti, visitare gli ammalati, fornire di dote le fidanzate diseredate e aver cura dei morti sono le regole basilari imposte dalla pietà. L'ebraismo non ritiene che il mondo sia cattivo e il concetto di santità non prevede rinunce ascetiche nè il privarsi dei beni materiali che la vita regala. Astenersi da ciò che è consentito costituisce peccato come pure il digiuno praticato con eccessiva frequenza.
Oltre alla stretta osservanza dei precetti fondamentali contenuti nei Dieci Comandamenti, la Torà prevede una serie di obblighi e di divieti ai quali l'ebreo deve attenersi se vuole mantenere la benevelolenza divina. Le norme cui deve sottostare sono 613 e molte di esse non hanno un'origine chiara. Tra i divieti sono molti quelli legati alla consumazione del cibo. Si possono mangiare soltanto le carni dei ruminanti dallo zoccolo diviso in due. E' vietato cibarsi durante il pasto di carni e latticini contemporaneamente come è pure vietato mangiare carni di animali malati, mutilati, trovati morti o uccisi in modo diverso da quello prescritto, che prevede di non far soffrire l'animale durante la macellazione. Il maiale, i crostacei, i frutti di mare, gli uccelli da preda, i roditori e certi tipi di pesci sono cibi rigorosamente vietati. Per quanto riguarda le norme di comportamento, l'ebraismo si rifà alle "Regole dei Padri" che sono un esempio significativo della morale ebraica. Vi si legge tra l'altro una serie di precetti come "Ama il lavoro,odia di acquisire potere, non desiderare l'amicizia dei potenti", oppure "Procurati un maestro, datti un compagno di studi, tieniti lontano dal cattivo vicino". E ancora, con riferimento ai giudici: "Dà a ciascuno il beneficio del dubbio. Quando i litiganti stanno di fronte a te considerali colpevoli, ma quando si allontanano considerali innocenti".
La fedeltà al Patto stipulato da Dio con l'uomo riceve presso gli ebrei il primo marchio indelebile all'atto della nascita, e precisamente otto giorni dopo con il rito della circoncisione, praticato anche attualmente nelle famiglie ebree sia religiose che laiche. Nella Genesi, che è il primo dei cinque libri della Torà, si legge:"Ogni maschio tra voi sara circonciso, e sarete circoncisi nella carne del vostro prepuzio, e ciò sarà un pegno del patto tra me e voi. E colui che avrà compiuto gli otto giorni sarà circonciso in mezzo a voi, ogni maschio per tutte le generazioni".
La Bibbia racconta che Abramo, giunto all'età di 99 anni, provvide a circoncidersi da solo e a circoncidere suo figlio Ismaele, tutti i maschi e gli schiavi di casa. L'anno successivo nacque Isacco che venne regolarmente circonciso al compimento del suo ottavo giorno di vita. Il Patto era la promessa fatta da Dio ad Abramo che i suoi discendenti avrebbero ereditato la terra di Canaan se gli fossero stati fedeli portando ognuno su di sè il segno concreto, la circoncisione appunto, irrevocabile e ben visibile di tale fedeltà all'Alleanza. La circoncisione assume pertanto un valore soprattutto religioso, ma anche un carattere nazionale che lega gli ebrei sparsi in ogni parte del mondo. Gli ebrei del nostro tempo, a qualunque gruppo o nazionalità appartengano, siano essi credenti o non credenti, osservanti o meno, restano fondamentalmente fedeli testimoni dell'antico Patto, per non spezzare il quale decine e decine di generazioni si sono sacrificate e hanno spesso sacrificato la loro vita. Per questo i sei milioni di ebrei eliminati dai nazisti durante le seconda guerra mondiale sono considerati dal mondo ebraico come "morti per la santificazione di Dio".
Al compimento del suo tredicesimo anno l'ebreo maschio vive un momento fondamentale con il raggiungimento della "maggiore età religiosa". Da allora entra a far parte del mondo degli adulti ed è tenuto a osservare tutti i precetti religiosi. Il giovane fedele viene preparato con un'accurata istruzione a una solenne e lieta cerimonia in Sinagoga durante la quale dichiara pubblicamente la sua intenzione di attenersi a tutte le norme, compresi i digiuni, ed è ritenuto responsabile della propria condotta.
Le osservanze religiose cui è tenuto anche il giovane fedele hanno inizio al risveglio con l'abluzione delle mani, al contempo atto igienico e rito di purificazione, obbligatoria anche prima di ogni pasto e sempre accompagnata da una benedizione. Si ringrazia Dio che ha creato il corpo umano e che ogni giorno restituisce ad ognuno, dopo il sonno, l'anima nelle primitive condizioni di purezza che vanno mantenute tali.Si prega tre volte al giorno, al mattino, al pomeriggio e di sera, negli stessi momenti in cui, nel corso della giornata, si svolgevano i sacrifici nel tempio, sostituiti da secoli con la preghiera. Il sabato e nei giorni di festa si celebra una funzione supplementare in ricordo del sacrificio particolare riservato a tali ricorrenze. Le preghiere consistono in Salmi e in altri brani di testi antichissimi stilati con formule tratte dalla Bibbia. Alcune contengono invocazioni a Dio affinchè perdoni i traviamenti che hanno provocato le tribolazioni di Israele e affretti l'avvento del suo regno. L'orazione è quasi sempre collettiva e viene effettuata da un gruppo di dieci fedeli maschi adulti. Anche le donne sono tenute all'osservanza del culto, ma possono fruire di particolari dispense dalla loro presenza alle funzioni religiose in caso di impegni legati alla conduzione familiare o agli specifici compiti di padrone di casa. Spesso le funzioni comprendono una lettura della Legge a scopo edificante. Essa viene effettuata sul Sefer-Torà, un rotolo di fogli di pergamena cuciti l'uno all'altro, fissato alle estremità con aste di legno.Tutti i testi sacri vengono recitati in ebraico antico, per mantenere il legame con la tradizione degli antenati. Le pratiche religiose vengono effettuate a capo coperto in segno di rispetto e di sottomissione a Dio.
Nel culto ebraico il matrimonio è vivamente raccomandato ed è esteso alla casta sacerdotale, la cui vocazione si manifesta anche con una rigorosa disciplina che regola la vita sessuale. Caldeggiato ai fini della procreazione e della propagazione della volontà divina, il matrimonio non può essere celebrato fra parenti stretti, fatta eccezione per i discendenti degli antichi sacerdoti del tempio di Gerusalemme. Gli ebrei possono sposarsi con donne divorziate a patto che vi sia stato divorzio religioso accordato dal tribunale rabbinico e dopo che siano trascorsi almeno novanta giorni dalla sentenza. Il rito nuziale consiste nella consegna dell'anello, la fede, da parte del fidanzato alla fidanzata cui segue la lettura del contratto di matrimonio, la ketubà, che sancisce i doveri del marito verso la moglie: sostentamento, affetto e protezione. La cerimonia si svolge sotto un baldacchino simbolo della protezione divina e del tetto comune da cui gli sposi saranno protetti e si conclude con il canto delle "sette benedizioni" in ricordo dell'opera creatrice di Dio. L'ebraismo ammette il divorzio purchè sia preceduto dall' espletamento del procedimento civile ed è la donna che viene prosciolta dal vincolo matrimoniale e riacquista la sua libertà, poichè ufficialmente la poligamia non è mai stata abolita anche se, dal X secolo, è stata definitivamente abbandonata. Il matrimonio religioso con persona estranea al culto ebraico non è ammesso e la conversione ai fini matrimoniali viene concessa molto raramente. Poichè lo scopo del matrimonio è la procreazione, le leggi rabbiniche ammettono la contraccezione solamente nel caso che la gravidanza rappresenti un pericolo per la vita della sposa e condannano ogni forma di perversione sessuale.
Le principali feste religiose sono indicate dalla Torà e commemorano le tappe fondamentali della storia ebraica unitamente a quelle dell'incontro fra Dio e il popolo prediletto. La prima è il sabato, che comincia il venerdì sera e termina il sabato sera, dedicata all'adorazione di Dio e alla gioia.
Rigorosamente rispettata da tutti gli ebrei, vieta ogni forma di attività lavorativa e rievoca la creazione e la primitiva felicità dell' uomo. Altre tre feste tramandate fin dai tempi antichi si celebrano in concomitanza con la conclusione delle principali attività agricole che erano praticate in Palestina e sono accompagnate da un pellegrinaggio a Gerusalemme.
La "Pessah", che è la prima e cade solitamente nel periodo pasquale, è la "Festa degli azzimi" e ricorda la precipitosa fuga degli ebrei dall'Egitto, che non lasciò alla pasta portata al seguito dai fuggiaschi il tempo per lievitare. In quella ricorrenza che dura otto giorni è vietato cibarsi di sostanze fermentate o di pane e l'esclusione del lievito simboleggia la purificazione del cuore, affrancato dai fermenti che lo rendono aspro. Nelle prime due sere il pasto è preceduto da una cerimonia familiare che si svolge a tavola in ricordo dell'ultima cena consumata in terra d'Egitto. La seconda festa della durata di due giorni si celebra sette settimane dopo in ricordo della rivelazione che Mosè ebbe sul monte Sinai. E' denominata "Festa delle settimane" e commemora "la liberazione dei corpi" con l'affrancamento delle anime, ormai pronte a stipulare un patto d'amore con Dio. La terza festa ricorre al tempo della vendemmia ed è denominata la "Festa delle capanne" in memoria della vita trascorsa nel deserto, quando, per ripararsi dai cocenti raggi del sole, si trovava rifugio sotto un tetto di frasche. Per otto giorni si vive sotto una fragile capanna di foglie per simboleggiare la precarietà della vita. Le capanne prefigurano anche il Tabernacolo sotto cui un giorno si raccoglieranno tutti i figli degli uomini, consapevoli di essere figli dello stesso Dio. L'ultimo giorno conclude solennemente la festa con la preghiera per invocare la pioggia, segno di fecondità e di redenzione.
La Torà contempla anche celebrazioni definite austere. Il Capodanno ebraico, che dura due giorni, festeggia l'anniversario della creazione del mondo e del sacrificio di Isacco, ma corrisponde anche con l'apertura della sessione annuale del tribunale Divino in cui Dio esamina la condotta del genere umano e decide "chi vivrà o chi morirà, chi conoscerà la felicità e chi le tribolazioni". Un verdetto che solo la preghiera e il pentimento possono attenuare. E infatti in quei giorni s'intensificano le orazioni per scongiurare il rigore della sentenza di Dio e le preghiere sono accompagnate dal cupo suono di un corno di montone, in ricordo del sacrificio dell' animale che sostituì il figlio di Abramo, dopo che Dio gli concesse la grazia per premiarlo della sua incondizionata obbedienza. Seguono dieci giorni di penitenza, che terminano con la "giornata del perdono" , anniversario del giorno in cui Dio concesse il perdono al suo popolo che, in assenza di Mosè, si mise ad adorare il vitello d'oro. Dal tramonto fino al sorgere delle stelle, la sera dopo, il digiuno dev'essere totale e si prega Dio confessandogli ogni colpa commessa, leggendo un elenco che comprende tutti i peccati possibili per non tralasciarne alcuno. A queste feste si è aggiunta in tempi recentissimi il "Giorno dell'indipendenza" dopo l'istituzione dello Stato di Israele sancita il 14 maggio 1948. In quell'occasione si svolgono cerimonie di ringraziamento e, in Israele, si commemorano i soldati caduti in battaglia e le vittime della persecuzione nazista.
Nelle ricorrenze funebri la preghiera in commemorazione del defunto, il "Kaddish", non contiene alcun riferimento alla morte o all'estinto, ma si limita a proclamare la grandezza di "Colui che ha creato ogni cosa secondo la sua volontà e che farà sì che venga il suo regno". E' un segno di sottomissione e accettazione della giustizia di Dio. Il rito funebre comincia con la pulitura del corpo, indispensabile per conferirgli lo stato di purezza, simboleggiato anche dall'abito di lino bianco con cui la salma è rivestita. Dopo la veglia il corpo verrà sepolto nella parte del cimitero riservata agli israeliti. Fiori e corone sono da evitare e la cremazione è rigorosamente vietata. I parenti del morto manifestano il loro strazio interiore con la lacerazione delle vesti e per un un rnese devono astenersi dal bere vino e mangiar carne. Durante la prima settimana di lutto i parenti stretti del defunto rimangono rinchiusi nella dimora in cui viveva la persona venuta a mancare e possono uscire prima della scadenza soltanto in concomitanza con il sabato, poichè quel santo giorno è dedicato alla gioia e dev'essere esente da ogni manifestazione di dolore. La durata del lutto varia a seconda del grado di parentela. Per un padre dura undici mesi, come pure per un figlio o una madre, quattro settimane per un fratello, una sorella, una moglie o un marito. Usanze e festività cadono in date che dipendono dal calendario religioso, basato sulle fasi lunari.
Ma per meglio comprendere ciò che ha significato l'ebraismo conviene ripercorrere rapidamente i millenni di storia che sono stati il cupo e tribolato scenario in cui la vicenda umana e religiosa del popolo d'Israele si è dipanata, tra mille e mille persecuzioni che ne hanno persino minacciato la continuità e la sopravvivenza. La storia ebraica comincia secondo la Bibbia con il patriarca Abramo circa 4000 anni fa e con la sua discendenza, il figlio Isacco e il nipote Giacobbe. La tradizione parla di un gruppo di tribù nomadi, forse dodici, provenienti dall'area mesopotamica, che si spostavano mantenendo contatti con popolazioni babilonesi a Oriente ed egiziane a Occidente. All'inizio del XVIII secolo a. C. alcuni gruppi arrivarono in Egitto, nel territorio dominato dagli Hyksos, che si estendeva anche sulla Palestina. A quell'epoca Giacobbe avrebbe cercato rifugio nel Paese dominato dal faraone Akhmosis, che aveva sostituito gli Hyksos al potere fondando la XVIII Dinastia egizia in un territorio che non comprendeva più la Palestina. Dopo un periodo di iniziale benessere la vita del gruppo israelita si trasformò in una durissima oppressione cui pose fine Mosè con l'esodo, raccontato nella Bibbia, verso la Terra promessa, o più verosimilmente quella d'origine in cui alcune tribù di Israeliti avevano continuato a vivere. A seconda delle fonti storiche l'esodo si colloca tra il 1250 e il 1230 a.C. e nei 40 anni di peregrinazioni nel deserto fissa il caratte etnico del monoteismo ebraico, espresso dalla promulgazione dei Dieci Comandamenti sul Monte Sinai dettati da Dio a Mosè. La Bibbia indica l'ingresso nella Terra Promessa come una conquista di Giosuè, ma nel frattempo in seguito agli spostamenti nel deserto molti gruppi israeliti si erano riuniti stanziandosi in Palestina e nella Transgiordania. Ormai sembrava che per gli israeliti dovesse finalmente giungere un periodo di pace e tranquillità.Ma fin da allora ebbero inizio le guerre per il mantenimento della tanto agognata Palestina insidiata da un popolo egeo, i Filistei, e in seguito dagli Ammoniti e dai Moabiti. Solamente per un periodo di due secoli, dal 1000 al 961 a.C., sotto il regno unitario di Saul e di David, le dieci tribù israelitiche vissero un periodo di relativa calma. Ma prima gli Assiri, nel 720 a.C. e i Babilonesi, nel 587, invasero il Paese riducendo gli ebrei in schiavitù. Gerusalemme fu distrutta, il Tempio dato alle fiamme, ricostruito e di nuovo distrutto dai Romani nel 70 d.C. Invano gli ebrei tentarono con una rivolta di rientrare in possesso dell loro terra.L'imperatore Adriano, nel 135, li piegò definitivamente vietando l'insegnamento della Legge ebraica pena la morte. Senza patria nè luoghi di culto, gli ebrei si sparsero per il mondo emigrando soprattutto in Spagna e in Germania dove i due grandi gruppi, i Sefarditi, dall'ebraico Sefard che significa appunto Spagna, e gli Ashkenaziti che si stanziarono nell'Europa centro-orientale e in territorio tedesco, dovettero subire angherie di ogni genere e furono decimati dall'Inquisizione spagnola i primi, e dalle epurazioni naziste i secondi. Per venti secoli erano stati maledetti perfino davanti agli altari dalla liturgia cristiana che recitava, il Venerdì Santo, il sacro insulto definendoli "Perfidi giudei". Un muro di incomprensione che Papa Wojtyla fece cadere con lo storico abbraccio al rabbino capo di Roma Toaff, del 13 aprile 1986. Veniva così cancellata l'abominevole iniziativa del cardinale Carafa, promotore dell'istituzione dell'Offizio dell'Inquisizione Romana, strumento di lotta contro eretici ed ebrei, che il 26 luglio 1555 relegò i "giudei" nel ghetto, isolandoli dal resto della popolazione in un informe ammasso di tuguri. Una persecuzione che ebbe fine soltanto con la breccia di Porta Pia nel 1870. Schiavizzati, deportati, trucidati, oggi gli ebrei sparsi per il mondo, secondo stime recenti, sarebbero 14 milioni, di cui circa 5 milioni vivono dal 1950 nello Stato d'Israele. Il gruppo più nutrito, circa 7 milioni, risiede fra il Nord e il Sud dell'America, oltre tre milioni vivono in Europa, compresa l'ex Unione Sovietica. Piccole minoranze sono stanziate in altri Paesi soprattutto in Sudafrica e Australia. I tre movimenti religiosi principali, che trovano la loro espressione organizzata soprattutto negli Stati Uniti, dove vive il maggior numero di ebrei del mondo, sono gli "ortodossi", i "conservatori" e i "liberali" che presentano tra loro differenze religiose e di culto sostanziali. Esistono poi negli Stati Uniti e in Israele gruppi "ultra- ortodossi" che tra l'altro non riconoscono lo Stato ebraico perchè fondato dagli uomini e non da Dio, e che indossano vesti di foggia antica. Tutti parlano, seppure nella versione moderna, la lingua più antica del mondo e dopo quattromila anni di calvario aspettano fiduciosi quel Messia che regalerà loro finalmente il regno dell'eterna felicitá. (Gian Piero Piazza)
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