Un’idea, una fede, fondamentale. Sulla quale fondare comportamenti, regole, precetti. Lo stesso vivere civile. Fondamentalismo, dunque. Lo dice la parola stessa. Anche se il significato di quella parola, con il mutare della storia e dei tempi, ha assunto altri e diversi significati. Porsi la domanda che cos’è il fondamentalismo? presuppone una precedente e più stringente domanda sul concetto di identità.
Nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata dalla morte delle ideologie storiche, dalla crisi del capitalismo e dall’avvento della globalizzazione, si è andato creando un profondo strappo nel tessuto identitario dell’Occidente. “Minacciato” sul fronte orientale da una compatta ed impermeabile “altra” concezione identitaria, quella dell’Islam, e destrutturato al suo interno dal proliferare di particolarismi religiosi, ideologici e culturali, dal relativismo etico e dal diffondersi di concezioni ateistiche della vita, a fronte di una sempre più spiccata disgregazione di bandiere, simboli, icone ed emblemi sotto il cui ombrello ripararsi, l’Occidente negli ultimi anni si è visto costretto a porsi il grande problema dell’identità.
Chi siamo noi? Come e da cosa possiamo venire identificati? Edmund Burke sosteneva che l'uomo fosse, per sua propria costituzione, un animale religioso. E forse il teorico politico irlandese del Settecento aveva ragione, se pensiamo che ancora oggi, in assenza di altri elementi sui quali fondare la nostra identità, la rincorsa alle religioni mostra di essere l’unica autentica ed efficace alternativa allo smarrimento esistenziale e filosofico in atto.
Ed ecco il motivo, a nostro parere ma anche a parere di molti, della comparsa sulla scena politica occidentale (e italiana in particolare) di alcuni nuovi, bizzarri, particolari fenomeni culturali e sociali, come quello che è stato ribattezzato degli atei devoti. Persone e personalità che, pur non credendo nell’esistenza reale di un’entità superiore, di una divinità, fanno però quadrato intorno all’ideologia religiosa cristiana – cattolica in Italia – ponendosi a paladini dell’identità culturale occidentale fondata sulla sua “maggiore” esperienza confessionale. E facendo propri dogmi, ideali, principi e fondamenta, che prima d’ora erano sentiti come propri solo dai credenti.
Nasce così, e di questo principalmente si nutre, il nuovo orizzonte di confronto ideologico e culturale tra il prepotente ritorno del confessionalismo e i vecchi principi e baluardi della laicità. Una laicità prima sottoposta ad un attacco di ben minore intensità. E oggi tornata al centro dell’attenzione come antagonista di quei principi non negoziabili che costituiscono invece la linea di difesa del neoconservatorismo religioso. Principi non negoziabili come fondamenta della verità cristiana e cattolica, come fondamenta dell’azione politica e civile dei suoi fautori. La parola chiave è fondamenta, dunque.
Mai come oggi forse, all’interno della Modernità Occidentale, è stato così importante affrontare il nodo del fondamentalismo.
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Una prima, semplice, definizione di fondamentalismo la troviamo nelle parole di Malcolm E. Marty, sociologo dell'università di Chicago: che ne individua contorni ed elementi portanti nel ritorno ad un ordine mitico, basato sul rifiuto della modernità, accompagnato da un radicale controllo sociale, dalla censura, in nome di un’idea di società ispirata alla religione. O meglio, più che ispirata: fondata sulla religione, sui testi sacri. Fondamentalismo, quindi, nel senso di stretto attaccamento alla dottrina fideistica.
Storicamente il termine nasce nel 1909 all’interno dell’esperienza del protestantesimo nord-americano, in contrapposizione alle teorie del liberalismo teologico. Tra le parole d’ordine del fondamentalismo troviamo concetti chiave di una visione conservativa, chiusa e ristretta della società: esclusivismo, isolamento, antagonismo, atteggiamento difensivo ma anche, di contro, aggressivo nei confronti di chi non si trova allineato. Non per forza nei confronti degli appartenenti ad altre fedi o confessioni, o di coloro che non professano alcune fede come gli atei e gli agnostici, ma anche nei confronti degli appartenenti allo stesso gruppo ideologico che però mantengono un comportamento ed un atteggiamento non radicale, moderato, aperto al compromesso o che propugnano un’interpretazione non restrittiva della verità religiosa.
Quasi sempre il termine fondamentalismo viene usato come sinonimo di fanatismo religioso o di violenza sacra. Spesso come tentativo di un impossibile ritorno al passato, alle origini mitiche di un credo religioso, incompatibili con il mondo moderno. Nel suo essere genericamente inteso come arcaico e intollerante, il fondamentalismo può essere facilmente rintracciato in molte grandi religioni mondiali, nelle chiese come nelle sette. Anche se sussistono specifici caratteri che individuano il fenomeno nella società contemporanea e ne fanno qualcosa di peculiare.
Esistono diversi fondamentalismi, a seconda dei diversi contesti culturali e religiosi nei quali movimenti, gruppi e organizzazioni anche di lotta armata sono nati e agiscono.
Quando si parla di fondamentalismo, inevitabilmente ci si chiede che cosa lo distingua da altre categorie che vengono utilizzate per classificare fenomeni a prima vista simili, come integrismo, integralismo, tradizionalismo e conservatorismo. Concetti questi che contengono in tutto o in parte il rinvio ad atteggiamenti e comportamenti religiosi di chiusura nei confronti della modernità.
Si tratta di termini equivalenti oppure il fondamentalismo costituisce qualcosa di specifico? Alcune interessanti risposte le troviamo nelle opere dello studioso delle religioni e cattolico francese Émile Poulat, soprattutto nel suo saggio L'intégrisme. De sa forme catholique à sa généralisation savante (in Les intégrismes - revue La Pensée et les Hommes n. 2, 1985 - pp 9-18), dello psicologo Jacques Arènes (Spiritus, 171, juin 2003, tome XLIV), e di Pierre Lathuiliere, docente universitario alla facoltà di Teologia di Lione (Pour une théologie de la modernité Paris, 1998, DDB, p. 135-136).
L'integrismo è una corrente di pensiero e di azione originata nel cattolicesimo dell'Ottocento. Come reazione all’Illuminismo e alla Rivoluzione francese, l’integrismo esprime l'esigenza di riconquista della funzione centrale della religione in una società come quella moderna che pretende di decretare la «morte di Dio» o di funzionare "come se Dio non esistesse". Per far valere questa esigenza l'integrismo considera la dottrina della Chiesa cattolica come un repertorio di principi fondamentali che debbano essere applicati a ogni sfera del vivere sociale, rifiutando l'idea stessa dell'autonomia relativa delle sfere dell'agire umano. L’impegno politico da parte dei cattolici integristi è, di conseguenza, volto a restaurare una società cristiana e uno Stato teocratico.
Il tradizionalismo, più che una corrente di pensiero, è una generica tendenza che troviamo in molte religioni e che si esprime generalmente con l'idea che la linea di credenza consolidatasi nel tempo non debba/possa essere mutata, pena la sua svalutazione e deperimento. Il conservatorismo, invece, si esprime soprattutto nel timore della perdita di influenza sociale della religione. In entrambe queste manifestazioni manca sia l'assolutizzazione di un Libro sacro sia il mito di una società delle origini che debba essere riprodotta nel tempo presente, come invece accade per il fondamentalismo.
Esistono alcuni punti fermi e comuni a tutti i vari tipi di fondamentalismo che conosciamo. Uno di questi è la rilevanza del momento politico. Un altro è la compresenza di elementi, quasi in via ossimorica, moderni e antichi. Il fondamentalismo è moderno perché si fa carico di interpretare i limiti stessi della modernità, ed è antico perché il modello di valori che propone si rifà a tempi passati, in netta contrapposizione con ciò che viene percepito come pericolosa novità.
Questa rifondazione si mostra tanto ambiziosa quanto irrealistica: riportare al centro delle società moderne il primato della legge religiosa su quella positiva, umana.
Altri elementi comuni sono il rifiuto di una libera o comunque diversa interpretazione del Testo Sacro, che invece deve essere posto a modello in tutta la sua interezza, la mancanza di una prospettiva storica con la quale filtrare la stessa Verità Rivelata, la supremazia della Legge divina su quella umana, secolare, civile, e l’assunzione a mito indissolubile delle origini della comunità che si riconosce intorno ai fondamenti in questione.
Dall’assolutizzazione di questi principi ad una vera e propria militanza, il passo è molto breve: chi è convinto che esista una verità assoluta che debba valere in ogni caso e in tutte le sfere della vita, soprattutto in quella sociale e politica, si sforzerà di inventare azioni di protesta e forme di lotta politica che lascino sempre intravedere i riferimenti simbolici religiosi ai quali ci si rifà. Gestualità, ritualità, luoghi mistici e di culto, coinvolgimento del momento emozionale collettivo, forte ricorso alla simbologia. Sono tutti elementi cardine della manifestazione concreta dei fondamentalismo.
Da qui, si passa all’importanza della figura del Nemico. Solitamente molto ben individuato, chiaro e riconoscibile. La massima estremizzazione di questa ideologia, infatti, si ha quando il fondamentalismo imbraccia le armi.
La parola fondamentalismo continua ad essere usata ancora oggi nell’accezione originaria (degli inizi del secolo scorso), anche se ha preso sempre più campo – soprattutto in società maggiormente interessate dal fenomeno migratorio e dalla compresenza di diverse fedi e confessioni, come ad esempio in Francia – una più ristretta e contestualizzata declinazione del suo significato: arrivando a designare per lo più le frange più irrequiete dell’islamismo.
Ma se guardiamo al fenomeno in termini più generali, è possibile cogliere elementi di fondamentalismo in tutte le grandi religioni, specialmente quelle monoteiste. Elementi di difesa e resistenza nei confronti della progressiva secolarizzazione, del razionalismo, del pluralismo e del relativismo ideologico e religioso. Oltre che nei confronti del cambiamento degli stili di vita e del costume.
a) nel Cattolicesimo
Per i cattolici non è presente alcun elemento fondamentalista nella propria esperienza confessionale. La ragione va ricercata nella diversa impostazione nei confronti dell’approccio al testo sacro del Cristianesimo, la Bibbia, rispetto al Protestantesimo. Nell’idea, cioè, che il Cristianesimo non sia una religione del Libro, ma un’esperienza di fede fondata sulla figura di un Dio vivente, attivo nella storia (Au-delà du fondamentalisme, Revue catholique internazionale, XXVI, 6, n. 158, novembre-décembre 2001).
La cultura liberale dell’Età dei diritti, sviluppata nel corso del diciannovesimo secolo, e il percorso storico-politico del Risorgimento – impostato su un forte anticlericalismo in funzione dell’unificazione nazionale – ha portato ad una progressiva riduzione del ruolo e del potere papale sulla sfera civile e politica. Che ha avuto il suo culmine con l’unità d’Italia e la Breccia di Porta Pia, con la conseguente fine dello Stato pontificio nel 1871.
Con il contestuale Concilio Vaticano I, attraverso la costituzione dogmatica Pastor Aeternus, viene proclamato il nuovo dogma dell’infallibilità pontificale (anche se relativo al solo pronunciamento ex cathedra del Pontefice).
Riportiamo qui di seguito parte del testo della Pastor Aeternus, che contiene alcuni interessanti spunti di riflessione proprio in riguardo al problema che stiamo affrontando:
"Richiamandoci dunque fedelmente alla tradizione, come l’abbiamo assunta dalle prime epoche del Cristianesimo, noi insegniamo, ad onore di Dio, nostro Salvatore, per gloria della Religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio, e dichiariamo quale dogma rivelato da Dio: ogni qualvolta il Romano Pontefice parla ex cathedra, vale a dire quando nell’esercizio del Suo Ufficio di pastore e Maestro di tutti i cristiani, con la sua somma Apostolica Autorità dichiara che una dottrina concernente la fede o la vita morale dev’essere considerata vincolante da tutta la Chiesa, allora egli, in forza dell’assistenza divina conferitagli dal beato Pietro, possiede appunto quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle munire la sua Chiesa nelle decisioni riguardanti la dottrina della fede e dei costumi. Pertanto, tali decreti e insegnamenti del Romano Pontefice non consentono più modifica alcuna, e precisamente per sé medesimi, e non solo in conseguenza all’approvazione ecclesiastica. Tuttavia, chi dovesse arrogarsi, che Dio ne guardi, di contraddire a questa decisione di fede, sarà oggetto di scomunica. Dato in Roma, in solenne pubblica assemblea nella Basilica Vaticana, nell’anno del Signore 1870, il 18 Luglio, nel venticinquesimo anno del nostro pontificato."
È proprio a questo dogma di recente introduzione che viene fatto risalire il punto di partenza storico dell’integralismo cattolico, almeno secondo il parere di Martin Geoffroy e Jean-Guy Vaillancourt (Les groupes catholiques intégristes. Un danger pour les institutions sociales, in La peur des sectes, pp. 127-141. Montréal: Les Éditions Fides, 2001). Anche se ne possiamo intravedere alcuni elementi già nel 1864, con il celebre Sillabo di Pio IX e l’elenco degli 85 “principali errori del nostro tempo”. Un documento estremamente rigido sul piano dottrinale ed ecclesiale, che è divenuto in un certo senso il manifesto degli integralisti. Ed è nel 1891, con Papa Leone XIII e la sua enciclica Rerum novarum, che scoppiano, soprattutto in Francia, forti tensioni tra cattolici “liberali”, che fanno appello a Leone XIII e cercano un dialogo e una riconciliazione con la società civile, e i cattolici integralisti, rimasti ancorati agli insegnamenti di Pio IX e dei sui predecessori. Così come riporta Émile Poulat ne La querelle de l'intégrisme en France (Social Compass, vol. 32, n. 4, 1985, p. 345).
Per la maggior parte degli studiosi alla base di ogni integralismo c’è un principio di tradizione da difendere e conservare. Secondo Marc Pelchat, autore de L'intégrisme catholique (Prêtre et Pasteur, juillet-août 1996, p. 405.), questo atteggiamento genera una violenta torsione degli strumenti di potere contro la secolarizzazione e il pluralismo religioso, al fine di promuovere un modello politico, sociale e dottrinario conforme al fondamento a cui si fa riferimento. Un modello che si rifà a contenuti che si ritengono immutati nel tempo.
Altri studiosi, come René Rémond, hanno invece sottolineato la centralità dell’elemento della ripetizione, dal punto di vista dell’ideologia. Fermando il fattore ideologico si cristallizza così in modo sacrale un momento storico, sul quale poi modellarsi e modellare la società attraverso un’operazione di irrigidimento dell’ideologia stessa, al fine della sua preservazione e conservazione nel tempo.
Da questo punto di vista l’integralismo è un’ideologia: che fonda il cattolicesimo su un sistema che si pretende capace di rispondere a tutte le istanze e alle esigenze umane, alle domande più profonde, sia sul piano metafisico e fideistico che su quello ben più profano dell’organizzazione e della convivenza civile. Extra ecclesiam, dunque, nulla salus. In quest’ottica – come spiega René Rémond ne L'intégrisme catholique: portrait intellectuel (Études, vol 370, n. 1, janvier 1989) – il cattolicesimo si mostra come impermeabile dall’esterno: ad ogni domanda, ad ogni problema, c’è una e una sola risposta, conforme all’ortodossia, e generalmente ricalcata da un’esperienza del passato. Facile intuire come da questa impostazione possano facilmente nascere strategie di esclusione e atteggiamenti aggressivi contro tutto ciò che è visto come esterno ad essa.
I movimenti cattolici integralisti più conosciuti sono la Fraternità sacerdotale di San Pio X del celebre vescovo Marcel Lefebvre e gli Apostoli dell’Amore.
b) nel Protestantesimo
La Riforma protestante che prende corpo in Europa nel Sedicesimo secolo su impulso di Lutero e Calvino ha sviluppato molte diverse facce a seconda delle correnti teologiche e delle esperienze territoriali delle varie chiese. Tutte le correnti protestanti però sono accomunate da alcuni punti fondamentali: l'accentuazione del rilievo della Bibbia nello stabilire la regola della fede, rispetto alla tradizione/mediazione della Chiesa di Roma (Sola Scriptura), l'enfasi sulla dottrina della giustificazione per sola fede, cioè il ritenere che la salvezza del fedele sia derivata da un atto di fede piuttosto che da comportamenti o azioni (Sola Fide), e l'idea che la natura umana sia intrinsecamente malvagia ma che il fedele possa trovare salvezza nel sacrificio espiatorio di Gesù (Sola Gratia).
Come già accennato, l’origine del termine fondamentalismo nel mondo protestante è da ricercarsi nelle correnti cristiane radicali nord-americane che si ponevano in netta contrapposizione con il proliferare delle teorie evoluzionistiche darwiniane. La paternità della parola è da attribuire a Reuben Torrey e A. C. Dixon, autori di alcuni opuscoli divulgativi intitolati, appunto, Fundamentals.
Ma già alla fine del secolo Diciannovesimo, con il congresso di Niagara Falls (cascate del Niagara) nel 1895, erano emersi i primi segni di questa radicale torsione culturale e teologico-politica. A Niagara Falls molti teologi protestanti di diversa provenienza confessionale si riconobbero in un documento che sintetizzava in cinque punti essenziali gli elementi fondanti e comuni a tutte le loro diverse esperienze: l’infallibilità della Scrittura, la nascita virginale di Gesù, il suo sacrificio, la sua resurrezione corporea dalla tomba, e l’attesa del suo ritorno.
La loro prima significativa vittoria politica fu la condanna di John T. Scopes, un maestro elementare dello stato del Tennessee, colpevole di aver insegnato le teorie di Darwin nella scuola pubblica. Siamo a metà degli anni Venti. Trentacinque anni dopo il regista Stanley Kramer racconterà questo storico processo nel magnifico film “E l’uomo creò Satana” (Inherit the Wind, Usa, 1960) con Spencer Tracy e Gene Kelly.
c) nell’Ebraismo
Le principali correnti fondamentaliste del mondo ebraico sono l’Haredismo e l’Hassidismo. Gli Haredi, o ultra-ortodossi, dalla fine dell’Ottocento sono impegnati a dar battaglia alla modernità, intesa in senso occidentale, all’evoluzione dei costumi e delle ideologie. Caratterizzati da una forte tensione separatista sul piano sociale (con scuole e negozi specifici), ma anche in una dimensione strettamente spaziale (con la creazione di quartieri ad hoc), oltre che dal punto di vista dell’abbigliamento (vestono rigorosamente in nero). Il loro fondamentalismo è particolarmente sensibile sul fronte del controllo della sfera sessuale (specialmente femminile), particolarmente rigido, e su quello della vita pubblica.
L’Hassidismo nasce dall’Haredismo, nell’Europa orientale del diciottesimo secolo. A differenza del modo di interpretare la religione degli Haredi, in questa seconda coniugazione dell’ebraismo il rapporto con la divinità è vissuto con meno sofferenza e meno rinunce, attraverso rituali più gioiosi come la danza.
d) nell’Islam
Nell’esperienza islamica i concetti antitetici di unicità e pluralità si fondono in modo interessante. All’unicità del culto, dei precetti fondamentali, e delle regole essenziali si somma una pluralità di analisi, di interpretazione e di applicazioni.
Esistono differenti forme di fondamentalismo nella storia dell’Islam. C’è il fondamentalismo tradizionalistico sunnita che si rifà ad un modello ideale e alla “comunità originaria dei credenti”. La corrente sciita invece, nasce dalla principale scissione dei musulmani, a seguito della morte del profeta Maometto, che vede protagonista Alì, genero del Profeta, del quale gli sciiti si considerano discendenti. Nata in una dimensione prettamente politica, la corrente sciita ha in seguito messo a punto una propria teologia.
All’interno del Sunnismo esistono quattro scuole giuridiche tra cui l’Hanbalismo, la più rigorosa, improntata ad un netto rifiuto di qualsiasi intromissione di carattere razionale nell’interpretazione coranica. Sempre all’interno del Sunnismo troviamo lo Wahabismo, oggi spesso considerato sinonimo di integralismo islamico. Indubbiamente lo Wahabismo si fonda su un particolare rigore, su un puritanesimo accentuato e radicale, in rifiuto a tutte le innovazioni e modificazioni prodotte dalla storia in seno all’Islam stesso. Rifacendosi all'origine e ai fondamenti dell'Islam – commentano Abderrahim Lamchichi ne L’islamisme politique e Oliver Roy in Geneaologia dell’Islamismo – questa corrente servirà d'ispirazione al movimento fondamentalista di Al Afghani e Abdouh del Diciannovesimo secolo.
Il fondamentalismo nella Chiesa Cattolica
Abbiamo ricordato come il concetto di fondamentalismo sia nato proprio in seno al Cristianesimo, all’inizio del secolo scorso, nell’esperienza protestante nord-americana.
Ma la volontà di consolidare un’interpretazione tradizionale della Bibbia, opponendo l’infallibilità dei Testi Sacri al crescente modernismo, non è stato estraneo alla storia del Cattolicesimo. Il fondamentalismo cattolico, come ogni forma di fondamentalismo religioso, si caratterizza per la rigida interpretazione testuale e fedelmente letterale delle Sacre Scritture: il ritorno ai fondamenti e alle basi dell’identità cattolica si manifesta dunque in antitesi allo svilupparsi, dalla Rivoluzione Francese in poi, delle ideologie e delle pratiche politiche improntate ai principi del liberalismo e alle innovazioni scientifiche: la libertà come diritto individuale fondamentale, lo sviluppo delle scienze esatte, il progresso culturale e l’autonomia della ragione.
La dottrina della Chiesa sul terreno del fondamentalismo appare però assai contraddittoria. La contraddizione nasce dalla continua tensione tra due opposti poli magnetici: il radicamento dell’identità da una parte, e i principi di tolleranza e libertà religiosa dall’altro. E' la stessa Chiesa Cattolica a dichiararsi preoccupata dei pericoli derivanti dall’intolleranza religiosa che nasce dal fondamentalismo. Come è la stessa Chiesa Cattolica a sottolineare gli aspetti di indisponibilità e assolutezza dei valori e dei fondamenti sui quali basa la propria identità.
Papa Giovanni Paolo II si è soffermato su questo problema nel messaggio per la Giornata mondiale per la Pace del 1 gennaio 1991 affermando:
"La verità assoluta si trova in Dio: la garanzia dell’esistenza della verità obbiettiva risiede in Dio; non si può negare che malgrado il costante insegnamento della Chiesa Cattolica secondo il quale nessuno deve essere costretto a credere, nel corso dei secoli non poche difficoltà e persino conflitti sono sorti tra i cristiani e i membri di altre religioni. […]
Siamo purtroppo testimoni di tentativi per imporre ad altri una particolare idea religiosa sia direttamente grazie ad un proselitismo che fa ricorso a mezzi di vera e propria coercizione, sia indirettamente, mediante la negazione di certi diritti civili e politici. Assai delicate sono le situazioni in cui la norma specificamente religiosa diventa, o tende a diventare legge dello Stato, senza che si tenga in debito conto la distinzione tra le competenze della religione e quelle della società politica. […] Il fondamentalismo può portare in campo religioso a misure coercitive di “conversione”.
La tolleranza dunque. Giovanni Paolo II affronta di petto i temi dell’intolleranza e della coercizione sottolineando come esse siano una costante minaccia per la pace e riconoscendo che in passato vi sia stata anche una responsabilità del mondo cristiano.
Fondamentalismo, intolleranza. Strettamente connesso a questi concetti è il ricorso alla violenza. Sempre Giovanni Paolo II nel medesimo messaggio avverte:
"Il ricorso alla violenza in nome del proprio credo religioso costituisce una deformazione degli insegnamenti stessi delle maggiori religioni. Come tante volte vari esponenti religiosi hanno ripetuto, anch’io ribadisco che l’uso della violenza non può trovare fondate giustificazioni religiose né promuovere la crescita dell’autentico sentimento religioso."
Già, la violenza. E' a un teologo, Francois Houtart, che dobbiamo una celebre definizione, forse la sintesi più lucida del rapporto tra violenza, fondamentalismo e religione: “La lotta tra Bene e Male è una forma di violenza tipicamente legata alla religione”. Ma non c’è solo questo aspetto. C’è un evidente elemento violento nel culto della sofferenza tipico della tradizione, e dei fondamenti, della Chiesa. Il culto del sacrificio, del martirio, dell’auto-immolazione. Tramandato e glorificato attraverso la testimonianza dei Santi. E c’è un altrettanto evidente elemento di violenza nella vocazione all’evangelizzazione – spesso forzata – e alla conversione degli infedeli.
E in un certo senso si può dire che la violenza sia strettamente legata alla sopravvivenza delle religioni stesse. E al fondamentalismo. Il sangue che ha colorato la Storia ne è la testimonianza più importante: conflitto dopo conflitto, la contrapposizione tra diverse Verità ognuna delle quali è sempre l’unica e la sola, è una delle poche costanti di tutte le epoche e di tutte le confessioni. Cattolicesimo compreso.
E non è nemmeno necessario arrivare al Cinquecento della Riforma e alle conseguenti guerre di religione per trovare all’interno della natura stessa della Chiesa di Roma quegli elementi di fondamentalismo che ne costituiscono i caratteri portanti. Possiamo addirittura risalire ai primordi del Cristianesimo, tornando indietro fino a San Cipriano, ovvero Tascio Cecilio Cipriano da Cartagine, vissuto nella prima metà del terzo secolo dopo Cristo. Alla sua Epistula 73, 21, 2 dobbiamo la celebre frase Salus extra ecclesiam non est, tramandata poi come principio generale della dottrina ecclesiastica nella formula Extra ecclesiam nulla salus.
In questa frase è inscritto uno degli elementi fondanti il dna della confessione cattolica: non esiste salvezza al di fuori del materno ventre della Chiesa di Roma. E dove non c’è salvezza, c’è l’inferno, il male, la dannazione. Qualcosa dunque, degno di essere combattuto. A maggior ragione oltre la fede, o in seno ad altre fedi, il Bene non ha cittadinanza. A maggior ragione, dunque, San Cipriano torna ad essere fondante ed estremamente attuale, con lo Scisma d’Oriente e con la Riforma protestante.
Ecco, dunque, il fondamentalismo come colonna vertebrale anche della Chiesa cattolica: la centralità del precetto di San Cipriano annulla qualsiasi presupposto di dialogo interreligioso, o al di fuori della religione, annienta qualsiasi possibilità di mediazione, compromesso, scesa a patti con la Storia. E rimangono soltanto i fondamenti della fede. Veri, autentici, perché “rivelati”.
Il concetto di Rivelazione è quindi emblematico: se esiste una via – e una soltanto – per la salvezza, quella rivelata (ad Abramo e poi a Mosè, a Gesù Cristo o a Maometto/Muhammad) la diffusione del Verbo e quindi della via per la salvezza diventa un dovere. L'attribuzione di santità o liceità della guerra assolve dunque alla funzione di nobilitarne la motivazione e di garantire preventivamente al soldato la liceità di quanto sta per compiere. Analoga alla non imputabilità giuridica del militare che uccide, sorge dunque la discriminante religiosa, per la quale nemmeno la Legge di Dio è stata violata se la guerra risponde all'interesse della religione.
Questa attribuzione viene appunto rilasciata dall'autorità religiosa a seguito di specifiche interpretazioni dei rispettivi riferimenti teologici e scritturali, cioè quelli esplicitamente rintracciabili nel libro sacro. In genere, l’esegesi a ciò finalizzata produce il risultato che "a talune condizioni" la guerra sarebbe un "male minore", un "necessario sacrificio" e un doveroso intervento comunque ben gradito al Signore.
Gli ebrei, che inaugurano la prima religione monoteista rivelata, per primi sperimentano anche tutto ciò che ad esso si accompagna: il diritto divino, l'esaltazione del popolo eletto, la sconfitta dell'ateismo, delle religioni avversarie e di chi le professa, invocando anche l'aiuto divino per le azioni armate necessarie ad ottenere tali obiettivi.
Nel cristianesimo con Gesù, che espressamente introduce l'apostolato e la diffusione della Buona novella, non si fornisce un così esplicito consenso alla violenza come mezzo di diffusione della sua parola. E tuttavia l'invito a rendere a Cesare quel ch'è di Cesare (Mt 22, 21) e l'affermazione categorica di Paolo secondo cui "Non c'è autorità se non da Dio" (Rm 13, 1) rientrano tra i tanti passi della Scrittura utilizzati per affermare che i detentori del potere sono innanzitutto ministri di Dio, per costruire nel tempo le sante alleanze tra potere temporale e potere spirituale, per giustificare nei secoli milioni di morti ammazzati in nome di Dio.
Da San Cipriano alle Crociate il passo è breve. Se non cronologicamente, lo sono senza dubbio logicamente. Con le Crociate non facciamo riferimento soltanto alle campagne per la riconquista della Terra Santa in mano all’Islam, dall’undicesimo al tredicesimo secolo, volute e pianificate direttamente dal papato, ma anche a quelle campagne militari mosse internamente alla cristianità, come la quarta crociata contro Costantinopoli o la Crociata albigese, contro i Catari della Francia meridionale. Alcuni studiosi hanno rintracciato direttamente nel Vangelo di Luca 14, 23-24 parole di giustificazione delle Crociate: “Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia”.
Come scrive il giudice Luigi Tosti, salito agli onori della cronaca per la sua opposizione all’esposizione del crocifisso nei tribunali, in un articolo del marzo 2005 e pubblicato su questo giornale:
Con il termine "Sante Crociate", ci riferiamo al genocidio perpetrato cristianamente dai Cattolici attraverso "guerre Sante" - al grido di "Dio lo vuole!"- per conquistare la Terra Santa e "liberarla", così, dagli "infedeli", cioè da coloro che - apprendiamo oggi da qualcuno - credevano nello stesso identico Dio venerato dai Cattolici. Gli stermini degli infedeli (ma non solo di essi) che sono stati perpetrati in nome della "Croce" - quella che oggi campeggia nelle aule giudiziarie italiane come augusto "simbolo di civiltà" - sono oramai arcinoti, anche se su di essi è calato un accurato "silenzio stampa" per occultare all'opinione pubblica (e cancellare dalla memoria) un'imbarazzante pagina della storia di Santa Romana Chiesa (il "giorno della memoria", infatti, viene sollecitato dai Cattolici solo per i genocidi perpetrati da altri regimi, come quello nazista).
Citiamo la "Crociata dei Pezzenti" del 1096, che causò la strage di 4 mila persone (tutti cristiani!) nella città ungherese di Zemun, saccheggiata dai bravi cattolici solo per scopi di "approvvigionamento", nonché feroci saccheggi, nel corso dei quali vennero arrostiti, sugli spiedi, dei bambini.
Citiamo la Crociata dell'Oca Santa (si credeva che l'animale fosse direttamente ispirato da Dio) guidata da Emich di Leinsingen il quale, dopo essersi fatto venire le stigmate (evento miracoloso di cui verrà beneficiato da Dio anche Padre Pio da Pietrelcina), sterminò migliaia di ebrei a Worms, a Magonza e a Colonia, trucidando e stuprando coloro che non abiuravano dalla loro fede, i quali erano notoriamente accusati (e perseguitati) dai Cattolici perché ritenuti responsabili della morte del Figlio di Dio.
Altre crociate antisemite, con relativi massacri di ebrei a Praga e Ratisbona, furono guidate da Volkmar. La Crociata dei Principi si distinse per la strage dei Peceneghi a Costantinopoli, per la strage dei Turchi ad Antiochia, per la strage di Maarat an-Numan (donne e bambini superstiti venduti come schiavi), per la strage di Gerusalemme del 14 e 15 luglio 1099, nel corso della quale 60 mila persone, tra le quali anche gli ebrei, vennero trucidati. Si stima che solo la prima Crociata costò la vita ad oltre un milione di persone.
Il fondamentalismo religioso ha avuto le sue conseguenze peggiori sui soggetti più deboli, come sulle donne, e sulle popolazioni che professavano religioni storicamente non dominanti, come nel caso degli ebrei.
Nel corso della storia fino ai nostri giorni, le donne sono state e sono una delle principali vittime dei fondamentalismi di qualsiasi religione, e proprio delle donne parla San Paolo nelle sue lettere, più volte additate dalla Chiesa come “inficiate dal fondamentalismo” in alcuni versetti, qualora vengano prese alla lettera. A tal proposito ricordiamo la prima lettera di San Paolo ai Corinti 14, 34-36:
"Come tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso di parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea”.
La lettera agli Efesini 5, 22-24:
"Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;il marito è infatti capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto".
Oppure la lettera ai Colossei 3, 18:
"Voi mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore".
Nei confronti dell’ebraismo la Chiesa Cattolica ha avuto da sempre una politica di odio e discriminazione. Accusati di deicidio, i discendenti di Abramo sono stati oggetto a partire dall’anno 1000 dell’appellativo di perfidi nella preghiera del Venerdì Santo. Il passo Oremus et pro perfidis Judaeis (letteralmente Preghiamo anche per i perfidi ebrei) è stato presente nella liturgia cattolica fino al 1959, anno in cui fu abolito ad opera di Papa Giovanni XXIII.
Sul Messale Romano del Concilio di Trento era presente il seguente testo che si recitava nella grande preghiera universale che seguiva la lettura del Vangelo della Passione di Gesù. Il testo è composto da un invito alla preghiera e dalla preghiera vera e propria:
"Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum.
Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur."
Che tradotta diviene:
"Preghiamo anche per gli Ebrei perfidi, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori ed anche essi (ri)conoscano il Signore nostro Gesù Cristo.
Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misericordia neppure la perfidia degli Ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per la cecità di quel popolo, affinché (ri)conosciuto Cristo, luce della tua verità, siano liberati dalle loro tenebre."
Ma la lista delle attività poco edificanti di cui la Chiesa (fondamentalista?) ha saputo fregiarsi nella Storia è molto più lunga. Riprendiamo il discorso di Luigi Tosti:
… che dire, poi, della persecuzione, delle torture, degli assassini e degli stermini operati dai Cristiani -sempre all'ombra della Santa Croce, Sacro "simbolo di civiltà"- ai danni degli eretici, degli ebrei, delle streghe, degli omosessuali, degli scienziati, cioè dei "diversi"?
Certo, non deve essere stato gradevole per i Catari, per i Valdesi, per i Patarini, gli Albigesi, i Dolciniani, le Beghine, i Fraticelli, e via dicendo, essere perseguitati, sterminati, arsi sui roghi e trucidati in nome del "Cristo sulla Croce" di Santa Romana Chiesa Cattolica: la storia della Chiesa è costellata da una serie di attività criminali - tutte ispirate dall'intolleranza, dalla superstizione e dal fanatismo - a cospetto delle quali le attuali associazioni per delinquere ci appaiono, oggi, come "gentili educande". […]
Ci permettiamo una piccola cernita degli episodi più esaltanti della Chiesa. Nel 782, 4.550 sassoni vengono "cristianamente" decapitati su ordine di Carlo Magno per... aver rifiutato il battesimo cattolico! Nel 1096, 800 ebrei vengono massacrati dai cattolici a Worms, in Germania. Nello stesso anno 700 ebrei vengono massacrati a Magonza dai cattolici. Nel 1145 120 ebrei sono massacrati dai Cattolici a Colonia e Spira in Germania. Nel 1191 2.700 prigionieri di guerra musulmani sono cristianamente decapitati dai Crociati in Palestina. Nel 1208 20.000 catari vengono massacrati dai Crociati a Beziers: nel 1219 altri 5.000 catari sono massacrati a Marmande. Il 16 marzo 1244 250 catari sono arsi vivi per ordine della Santa Inquisizione. 267 ebrei vengono impiccati a Londra in seguito a false accuse di omicidio "rituale" ai danni di cattolici. 200 catari e valdesi ardono cristianamente sui roghi nell'Arena di Verona, il 13.2.1278, per ordine della Santa Inquisizione. Nel 1370 20 ebrei sono arsi vivi dai cattolici a Bruxelles. 2.500 abitanti di Cesena sono massacrati, il 3.2.1377, perché ribelli del Papa. Nel 1391 4.000 ebrei sono massacrati dai cattolici a Siviglia. 100 valdesi sono impiccati e bruciati a Graz per ordine dell'Inquisizione, nel 1397. Nel 1416 300 donne, accusate di "stregoneria", sono cristianamente arse sui roghi nel comasco per ordine dell'Inquisizione. Nel 1485 eguale sorte a 41 "streghe" a Bormio. Nel 1505 14 altre streghe vengono uccise a Cavalese: 30 persone, accusate di stregoneria, ardono vive a Logrono, in Spagna, nel 1507. Nell'aprile del 1545 2.740 valdesi sono massacrati dai cattolici in Provenza. Nel 1561 2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici in Calabria. Nel 1562 300 persone sono arse per stregoneria a Oppenau: 63 donne subiscono eguale sorte a Wiesensteig. 17.000 protestanti sono massacrati dai cattolici spagnoli nelle Fiandre, nel 1567. 5000 servi della gleba croati sono massacrati per ordine del vescono Jurai Draskovic, nel 1573, 222 ebrei arsi sul rogo, nel 1580, per ordine dell'Inquisizione, in Portogallo. Il 29.7.1620 600 protestanti sono trucidati dai cattolici in Valtellina. Nel 1680 20 ebrei bruciano vivi per ordine della Santa Inquisizione. 2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici, nel maggio 1686, dai cattolici. 37 ebrei bruciano sui roghi a Maiorca, nel 1691, per ordine dell'Inquisizione. Svizzera, 1.782: viene bruciata sul rogo l'ultima strega. Polonia, 1.783: viene bruciata sul rogo l'ultima strega.
Ma i peccati della Santa Romana Chiesa non finiscono qui, perché in realtà essi spaziano in tutti i campi…
Chiudiamo questo capitolo riportando un’affermazione di Enzo Pace, direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università di Padova, tratta da una sua intervista relativa al libro Il regime della verità. Forse una delle più lucide analisi di cosa sia il fondamentalismo.
"Guardando in modo comparativo quello che è stato prodotto dal mondo protestante fondamentalista, dai movimenti radicali nell'Islam, dai movimenti neo-nazionalisti induisti, dalle prime ideologie neo-integriste in campo cattolico, si vede che tutti hanno come una specie di tentazione mortale di ragionare in questi termini: noi abbiamo la verità. Questa verità è contenuta in un testo sacro oppure in un magistero autorevole, da questa verità possiamo ricavare un modello integrale di società e dunque la nostra utopia di andare al potere usando i mezzi della lotta politica e dal potere costruire una società fondata sulla legge di Dio. L'idea insomma è quella di una verità che diventa regime e facendosi regime si impone. […]
Certamente nella Chiesa cattolica c'è questa utopia di poter costruire o dei partiti politici che potessero andare al potere per realizzare le strutture portanti di una "societas" cristiana nel mondo moderno, oppure, più semplicemente c'è stato il tentativo di condizionare i governi amici per imporre punti di vista sull'aborto, sul divorzio o su altro. Quando negli Stati Uniti non solo la Chiesa cattolica ma anche quelle evangeliche protestanti hanno cercato di fare questo si sono scontrate con una società moderna di tipo pluralista convinta che non si potesse tornare indietro nel tempo e quindi che la separazione fra Chiesa e Stato fosse un bene, non un male per la democrazia."
Finora ci siamo occupati degli elementi di fondamentalismo presenti in seno alla Chiesa Cattolica. Ma come si pone la stessa Chiesa nei confronti del fondamentalismo? Cosa ne pensa?
"La Chiesa ha spesso tenuto una posizione fortemente critica nei confronti dei fenomeni di fondamentalismo, criticando e respingendo quegli atteggiamenti che rifiutano qualsiasi sviluppo del dogma e della comprensione della verità, ci si arroccano su posizioni dettate dalla paura e dall’incertezza, che si irrigidiscono intorno a forme e formule cristallizzate e che evitano qualsiasi confronto con la dinamica storica. Tenendo una posizione critica, dunque, nei confronti di quelle manifestazioni religiose che, professando l'esistenza di verità permanenti e di valori obbliganti, non si distaccano «dalla pienezza, dalla forma strutturata e dalla bellezza del mondo della fede cattolica".
Nel libro Il sale della terra (San Paolo editore, 2005), il Cardinale Ratzinger risponde alla domanda sul significato e sul pericolo del fondamentalismo moderno in modo assai differenziato:
"L'elemento comune tra le molte e diverse correnti, che vengono definite fondamentaliste, è la ricerca di sicurezza e semplicità della fede. Non si tratta, di per sé, di qualcosa di negativo, dato che, in definitiva, la fede — come ci ripete spesso il Nuovo Testamento — è destinata proprio ai semplici e ai piccoli, che possono vivere senza complicate sottigliezze accademiche. Se oggi invece è glorificata la vita condotta nell'accettazione di questa insicurezza, mentre la fede, in quanto scoperta della verità, è considerata sospetta, di certo non è comunque questo il genere di vita a cui la Bibbia desidera condurci. La ricerca di sicurezza e di semplicità diventa pericolosa solo quando porta al fanatismo e alla grettezza spirituale. Se poi si sospetta della ragione, allora anche la fede è falsificata e resa come una sorta di ideologia faziosa, che non ha più nulla a che fare con il fiducioso abbandono nel Dio vivo, in quanto fondamento originario della nostra vita e della nostra ragione. Sorgono allora delle forme patologiche di religiosità, come la ricerca di apparizioni, di rivelazioni dall'Aldilà e molte altre cose simili. Ma invece che continuare a battere sul fondamentalismo, continuamente richiamato, i teologi dovrebbero riflettere e chiedersi quanto loro stessi siano responsabili del fatto che sempre più persone cerchino rifugio in forme religiose limitate o malate.
Quando si offrono solo domande e non si mostra alcuna via positiva alla fede, fughe di questo genere diventano inevitabili".
Le accuse di fondamentalismo rivolte alla Chiesa Cattolica sono state spesso massicce e hanno creato un acceso dibattito politico e dottrinario. Molti settori d’intervento ecclesiastico sono stati colpiti da queste accuse. È necessario dunque distinguere fra gli ambiti di riferimento: dottrina, prassi e debolezze delle singole persone. La Chiesa medesima ammette che la fallibilità umana opera anche all’interno delle sue stesse mura, e che la debolezza e l’imperfezione dell’agire umano possono essere causa di imprevedibili, quand’anche malsani, sviluppi. Sottolineando poi come la Chiesa si sia sempre adoperata per arginare sviluppi di questo tipo.
Tale affermazione non è sempre, o almeno non del tutto, veritiera. Ne è prova la sottrazione alla magistratura ordinaria dei reati di pedofilia, commessi da sacerdoti cattolici, promossa con successo dall’attuale Papa, Joesph Ratzinger, prima di salire al Soglio di Pietro, insieme al cardinale Tarcisio Bertone. Ecco il testo, datato 2001 e tradotto dal latino, di quello che possiamo considerare un vero e proprio ordine impartito da Ratzinger e Bertone a tutta la casta sacerdotale cattolica circa il silenzio e il segreto da mantenere su questi reati, al fine di conservare l’integrità e il buon nome della Chiesa. A riprova della volontà, contrariamente a quanto in altre sedi dagli stessi è stato affermato, di anteporre la salvaguardia del ruolo e del potere della Chiesa in terra a esigenze di altra natura, come quella spirituale, morale, e di giustizia.
Non è difficile intravedere un chiaro atteggiamento fondamentalista da parte di Ratzinger e Bertone in questo tentativo di occultamento della verità giudiziaria quando i capi di imputazione riguardano soggetti appartenenti alla casta sacerdotale cattolica. Arroccamento, isolamento, auto-protezione contro ogni rischio di attacco esterno. Ecco le altre facce del fondamentalismo moderno.
Ma quali sono oggi i fondamentalismo che vengono “imputati” alla Chiesa? Proprio di questo si è occupato l’Arcivescovo di Vienna, Christoph Schonborn, in un articolo comparso su l’Osservatore Romano il 17 luglio del 1997. Egli parla del “lavaggio del cervello” (e delle coscienze), della tendenza all’isolamento e alla separazione dal mondo che la Chiesa può “offrire”, dell’alienamento dai familiari che si richiede a chiunque segua la vocazione fino al rischio di una eccessivamente stretta dipendenza da figure carismatiche, per concludere poi affrontando il problema della possibile istituzione di strutture di potere intra-ecclesiastiche e della violazione dei diritti umani.
Come rispondere a tali rimproveri?
La Chiesa si è discolpata – per mezzo delle stesse parole dell’Arcivescovo di Vienna – dall’accusa di lavare i cervelli sostenendo di rispettare la dignità umana nella sua opera di formazione come trasformazione di tutta la persona in Cristo, direttamente derivante dall'appello programmatico di Gesù a convertirsi e a credere (cfr Mc 1, 14s.). Chi segue l'appello di Gesù, nella grazia e nella libertà, acquista una visione credente della vita in tutte le sue dimensioni. In una delle sue lettere anche Paolo fa riferimento a questa trasformazione, quando afferma: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12, 2).
Per quanto riguarda l’isolamento e la separazione dal mondo, la linea di difesa della Chiesa affonda nei passi dei vangeli in cui si legge che i cristiani non sono "del mondo" (Gv 17, 16), ma adempiono la loro missione "nel mondo" (Gv 17, 18). Separazione dal mondo non significa separazione dagli uomini e dalle loro gioie, preoccupazioni e necessità, ma separazione dal peccato. Pertanto Gesù prega per i suoi discepoli: "Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno" (Gv 17, 15). Che si traduce in un abbandono di solo ciò che contrasta con la fede, o di ciò che non ritengono più importante perché hanno trovato il «tesoro nascosto in un campo» (Mt 13, 44). L'unione con Cristo deve spingere i fedeli – spiega la Chiesa – a non ritirarsi in un mondo proprio, ma a santificare il mondo, trasformandolo nella verità, nella giustizia e nella carità.
Nella Chiesa che si propone di essere una «casa di vetro», esiste anche la sfida della trasparenza in senso coerente alla prima lettera di Pietro, dove chiede ai cristiani di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt3, 15). Lo stesso principio vale per le comunità contemplative che vivono dietro le mura dei monasteri, nella preghiera e nel sacrificio, dedicandosi al bene degli uomini. Infatti, se da una parte la Chiesa è una «società di contraddizioni», dall'altra si configura come una comunità missionaria in mezzo al mondo.
Molte volte il Concilio Vaticano Secondo ha messo in evidenza tale aspetto, citando — tra l'altro — l'antica Lettera a Diogneto n. 6. In questa lettera del II o III secolo si sottolinea che i cristiani, come tutti gli uomini, vivono nel mondo, ma nel contempo si oppongono allo spirito del mondo, mirando ad una meta al di là di questo mondo. Proprio così adempiono la loro missione.
"In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo. Anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile. Anche i cristiani si sa che sono nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile. La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono ai piaceri... I cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l'incorruttibilità celeste. L'anima, mortificata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare".
Circa l’alienamento dai familiari la Chiesa risponde, per mezzo dell’arcivescovo di Vienna, alle accuse che le sono state rivolte affermando che il rispetto e la cura amorevole per i genitori e i familiari è parte essenziale del messaggio cristiano. Se però si tratta della chiamata a seguire la propria vocazione, Gesù chiede di distaccarsi anche dalla famiglia: gli apostoli hanno lasciato la famiglia, la professione, la patria. Tale modo di seguire il Cristo continua nella storia fino ai nostri giorni. Alcuni genitori si rallegrano di una simile decisione di un figlio o di una figlia. Ma a questo riguardo possono nascere anche conflitti. Gesù stesso ne parla (cfr Mt 10, 37).
Ogni membro della famiglia è libero di scegliere il suo cammino della vita. Anche a questo proposito occorre essere tolleranti, rispettando la decisione della coscienza individuale. Certamente nel passato c'erano delle situazioni difficili e anche oggi esistono dei conflitti, ad esempio se delle comunità influenzano i minorenni contro la volontà dei genitori, oppure se i genitori non capiscono o non accettano la decisione di un figlio che vuol entrare in una comunità religiosa. Se, tuttavia, si vive il percorso suggerito da Cristo con amore, con decisione e con rispetto cristiano e se si tiene conto della libera decisione di ognuno, si può creare un rapporto di fiducia tra la famiglia «naturale» e quella «spirituale» con degli effetti molto positivi. Tanti uomini, per propria esperienza, ne possono dare testimonianza.
Per quanto concerne invece la dipendenza da figure carismatiche: Schonborn sostiene che bisogna distinguere accuratamente tra le persone che utilizzano le loro capacità in modo egoistico e falso per dominare su altri e renderli docili, e le persone veramente carismatiche. Esse offrono tutto il loro essere "con purezza" (2 Cor 6, 6) per la Chiesa e per il bene degli uomini. Dio li ha mandati come un dono alla sua Chiesa. Nella libertà dei figli di Dio essi hanno trasmesso ad altri la ricchezza soprannaturale della loro vita, e si sono sempre sottomessi all'autorità ecclesiastica. Non dobbiamo essere riconoscenti a Dio poiché dona anche oggi persone così piene di spirito? Non dobbiamo, oltre a conservare le strutture cresciute e consolidate, anche essere aperti al soffio dello Spirito Santo, che è l'«anima» della Chiesa?
Circa invece l’istituzione di proprie strutture intra-ecclesiastiche, ovvero di gruppi che formerebbero una «chiesa nella Chiesa», la stessa risponde che per evitare tale pericolo occorre sempre cercare una relazione equilibrata tra strutture ecclesiastiche esistenti, soprattutto la struttura parrocchiale, e i nuovi gruppi. A tal proposito, il cardinale Ratzinger ha affermato:
"Nonostante tutti i cambiamenti che ci si può aspettare, è mia convinzione che la parrocchia rimarrà la cellula fondamentale della vita comunitaria. ... Come quasi sempre nella storia, ci saranno anche gruppi che saranno tenuti assieme da un certo carisma, da una personalità fondatrice, da uno specifico cammino spirituale. Tra parrocchia e “movimento” è necessario un fecondo scambio reciproco: il movimento necessita del legame con la parrocchia per non diventare settario, la parrocchia ha bisogno dei movimenti per non chiudersi su se stessa e irrigidirsi. Già ora si sono costituite nuove forme di vita religiosa in mezzo al mondo. Chi osserva con cura la realtà della Chiesa, può trovare già oggi un numero sorprendente di forme di vita cristiana, nelle quali appare già presente tra noi la Chiesa di domani".
Contro le accuse sulla violazione dei diritti umani invece la Chiesa ha risposto che sin dai tempi antichi il nucleo portante della vita consacrata si ritrovi nella necessità di seguire l’esperienza di Cristo nel celibato e nella castità, nell'obbedienza e nella povertà. Chi sceglie questo cammino e, dopo più anni di riflessione e di preghiera, assume i rispettivi impegni, lascia determinati diritti per una libera decisione di coscienza: il diritto di contrarre matrimonio; il diritto all'autodeterminazione; il diritto all'indipendente amministrazione ed acquisto di beni.
Il Concilio Vaticano II, con la costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla chiesa, insegna:
"I consigli evangelici della castità consacrata a Dio, della povertà e dell'obbedienza, essendo fondati sulle parole e sugli esempi del Signore e raccomandati dagli Apostoli, dai Padri e dai Dottori e Pastori della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore e con la sua grazia sempre conserva".
La decisione per una tale forma di vita, se assunta volontariamente, non contraddice i diritti umani, ma si configura come la risposta ad una chiamata particolare di Cristo. I responsabili delle diverse comunità sono comunque obbligati ad appoggiare la disponibilità dei membri con animo sincero e a farla fruttificare nello spirito di una vera «communio», per l'edificazione della Chiesa e il bene degli uomini.
La Chiesa poi ha riconosciuto più volte che il fondamentalismo esiste, ma sembra solo riguardare gli altri e ciò è detto chiaramente nell’enciclica Centesimus annus, redatta da Giovanni Paolo II in occasione del centenario della Rerum Novarum di Leone XIII:
"Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo o fondamentalismo di quanti, in nome di una ideologia religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione di verità e del bene. Non è di questo tipo la verità cristiana".
Inoltre nel Codice Canonico si esplicita in modo chiaro che i fedeli, e in particolare i chierici, devono predicare la parola di Dio nel rispetto degli altri.
A tal proposito è necessario citare i seguenti canoni del libro III “sulla funzione di insegnare della Chiesa”:
Can. 747 -
§ 1. La Chiesa, alla quale Cristo Signore affidò il deposito della fede affinché essa stessa, con l'assistenza dello Spirito Santo, custodisse santamente, scrutasse più intimamente, annunziasse ed esponesse fedelmente la verità rivelata, ha il dovere e il diritto nativo, anche con l'uso di propri strumenti di comunicazione sociale, indipendente da qualsiasi umana potestà, di predicare il Vangelo a tutte le genti.
§ 2. E' compito della Chiesa annunciare sempre e dovunque i principi morali anche circa l'ordine sociale, così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigono i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime.
Can. 748 -
§ 1. Tutti gli uomini sono tenuti a ricercare la verità nelle cose, che riguardano Dio e la sua Chiesa, e, conosciutala, sono vincolati in forza della legge divina e godono del diritto di abbracciarla e di osservarla.
§ 2. Non è mai lecito ad alcuno indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza.
Can. 749 -
§ 1. Il Sommo Pontefice, in forza del suo ufficio, gode dell'infallibilità nel magistero quando, come Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli, che ha il compito di confermare i suoi fratelli nella fede, con atto definitivo proclama da tenersi una dottrina sulla fede o sui costumi.
§ 2. Anche il Collegio dei Vescovi gode dell'infallibilità nel magistero quando i Vescovi radunati nel Concilio Ecumenico esercitano il magistero, come dottori e giudici della fede e dei costumi, nel dichiarare per tutta la Chiesa da tenersi definitivamente una dottrina sulla fede o sui costumi; oppure quando dispersi per il mondo, conservando il legame di comunione fra di loro e con il successore di Pietro, convergono in un'unica sentenza da tenersi come definitiva nell'insegnare autenticamente insieme con il medesimo Romano Pontefice una verità che riguarda la fede o i costumi.
§ 3. Nessuna dottrina si intende infallibilmente definita se ciò non consta manifestamente. Oltre a ciò dobbiamo ricordare la dichiarazione Nostra aetate (letteralmente, Nel nostro tempo) che è uno dei documenti del Concilio Vaticano II. Pubblicata il 28 ottobre 1965, tratta del senso religioso e dei rapporti tra la chiesa cattolica e le altre fedi religiose. La dichiarazione è un documento piuttosto breve, composto di cinque punti in cui chiaramente si evince di rifuggire il fondamentalismo per aprirsi invece ad un dialogo con le altre religioni.
Nell'introduzione alla dichiarazione, la Chiesa cattolica si pone il problema del suo rapporto con le altre religioni non cristiane. Afferma che tutto il genere umano è originato da Dio, il cui disegno di salvezza si estende a tutti; tutte le religioni hanno in comune la ricerca di risposte agli interrogativi dell'uomo.
Le diverse religioni:
In questa sezione si parla soprattutto di induismo e buddismo, che vengono descritte come vie "per superare l'inquietudine del cuore umano". Più precisamente, si apprezza nel buddismo la ricerca della suprema illuminazione liberandosi dalla realtà terrena, e nell'induismo la ricerca dell'Assoluto attraverso la vita ascetica, la meditazione, e il rifugio in Dio con amore e confidenza.
Si puntualizza che "La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni", pur ribadendo le molte differenze con quanto essa crede e propone; si esplicita quindi il pieno rispetto verso tali religioni.
La religione musulmana:
Vengono fatti notare i punti di contatto tra i cristiani e i musulmani. Essi adorano l'unico Dio diAbramo; pur non riconoscendo Gesù come Dio, lo venerano come profeta, onorando anche la sua madre Maria. Inoltre "hanno in stima la vita morale, e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno".
Si invita quindi a superare i dissensi ed inimicizie del passato, e a cercare una mutua comprensione e una promozione comune di giustizia sociale, valori morali, pace e libertà.
La religione ebraica:
Questa è la sezione più importante del documento, sia perché il rapporto tra cristiani ed ebrei è molto più stretto che per le altre religioni, sia per il rigetto delle accuse tradizionalmente fatte da parte cristiana. Viene infatti rifiutato il concetto della "colpa collettiva" degli ebrei - addirittura quelli di oggi! - per la morte di Gesù, e inoltre si prende posizione contro l'idea di una maledizione contro il popolo della Promessa, ricordando che San Paolo aveva specificato che il popolo ebraico è ancora carissimo a Dio, "i cui doni e la cui chiamata sono irrevocabili".
Vengono infine deplorati "gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque", e si auspica un fraterno dialogo e mutua conoscenza e stima, anche attraverso studi teologici comuni.
Fraternità universale:
La dichiarazione termina chiedendo che tutti gli uomini si riconoscano come fratelli, condannando "qualsiasi discriminazione tra gli uomini o persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione".
Tratto comune, in senso fondamentalista, di tutti i monoteismi, è la convinzione di essere unici portatori della Parola di Dio e di avere il compito di stabilire il Suo regno sulla terra. Se la religione è stata ed è una delle principali cause di conflitto, ciò lo si deve ad un processo di svuotamento del messaggio divino, ricondotto a dimensione umana, sociologica o identitaria-nazionale. L’altro non è più visto come un fratello ma come un soggetto da convertire, o addirittura un nemico.
Per questo tipo di credenti, che si considerano i veri e soli difensori di Dio sulla terra, in nome di Dio è legittimo dar adito a ogni impulso di aggressività e di odio, finanche alla morte del nemico.
In Oriente, e nel mondo islamico in particolare, la religione penetra e influenza ogni azione e comportamento umano, sia pubblico che privato. Tutto viene fatto in nome di Dio. Tutto inizia e finisce in nome di Dio. La guerra inizia sotto il nome di Dio, così come gli accordi di pace. Questa è la ragione per cui la voce e le direttive dei leader religiosi hanno una forte influenza sui fedeli sia da un lato che dall'altro: possono istigare il popolo alla guerra e alla violenza oppure invitarli alla pace.
FONDAMENTALISMO ISLAMICO
Con l'espressione fondamentalismo islamico si usa definire, almeno a partire dalla nascita della Repubblica Islamica nell'Iran sciita, quella corrente di attivismo politico e teoretico che si richiama esplicitamente ai valori fondanti dell'Islam delle origini. L'espressione "fondamentalismo" ha in qualche modo una sua legittimazione dal momento che essa può essere ricollegabile all'auto-definizione dei militanti islamici che usano il sostantivo asāsiyyūn (dall'arabo asās: "basi, fondamenta"), con ciò indicando la doverosità di tornare alle fonti prime dell'Islam, in maniera semplice e diretta, dando una lettura quindi del tutto esoterica. La concezione musulmana del diritto e della vita civile, infatti, si fonda sull'inseparabile connubio fra precetti religiosi ed ordinamento della società, dello Stato ed in definitiva del potere.
Una definizione del fenomeno maggiormente accettabile è quella di Islam radicale (nel senso di ritorno alle radici della fede islamica) o quella di Islam militante. Una considerazione che fa comunque preferire la definizione di fondamentalismo potrebbe scaturire dalla somiglianza fra il carattere protestante della lettura autonoma e non guidata dei Testi Sacri. In ambito islamico infatti, per la mancanza di una Chiesa docente, il fedele musulmano è autorizzato a dare un'interpretazione personale dei testi sacri (Corano e Sunna), pur in stretta connessione con la tradizione ininterrotta degli studi di scienze religiose prodotti in 14 secoli.
Il fine principale del fondamentalismo musulmano appare dunque quello del ritorno ai primi tempi dell'Islam, considerati una sorta di Età dell'oro, per ricreare le condizioni in cui visse e agì il profeta Muhammad-Maometto (VII secolo).
La maggioranza dei fondamentalisti è costituita da persone devote, che seguono fedelmente gli insegnamenti di Maometto, promuovono la frequentazione abituale delle moschee e incoraggiano la lettura del Corano. Molti promuovono l'idea di un governo teocratico, in cui la Sharia (la legge islamica) diventi la legge di Stato. Di contro, l'Occidente è considerato come secolare, empio e decadente.
La maggior parte dei terroristi mediorientali sono solitamente musulmani fondamentalisti. Questo movimento è alimentato da pressanti situazioni sociali, religiose ed economiche: mancanza di democrazia, leader politici autocrati e non eletti dal popolo, la questione palestinese, la polarizzazione della ricchezza e gli squilibri economico-sociali, la scarsa cultura dei diritti umani, un alto tasso di disoccupazione.
Forse l'elemento che in assoluto impone la maggior pressione è il conflitto israeliano-palestinese, che dura da cinquant'anni. In quei territori esso alimenta rabbia, instabilità, agitazioni, diffidenza, ostilità e sentimenti di martirio.
Centrale è la questione dell'interpretazione del Corano e degli altri testi di riferimento islamici. In mancanza di una unità interpretativa, di un’unica che possa delineare senza ombra di dubbio i confini tra peccato e virtù, tra bene e male, tra il volere di Allah e i suoi divieti, l'Islam ha creato nel suo sviluppo storico un peculiare strumento interpretativo (l'ijmā, o consenso dei dotti) col fine di determinare le norme che dovranno adottare tutte le società che intendano qualificare se stesse come islamiche. Il primo pilastro è infatti il Corano del quale tuttavia è difficile dare altra interpretazione che non sia quella letterale. Il secondo pilastro, altrettanto difficile da indagare al di là della lettera, è l'insieme delle tradizioni giuridiche che compongono la Sunna, più duttile del Corano per indagare se un certo comportamento sia o meno da considerare il linea con i valori dell'Islam. La massa delle tradizioni prodottasi nell'ambiente religioso islamico è però davvero gigantesca e rende di per sé assai difficoltoso un responso preciso e univoco, poiché è molto frequente il caso di tradizioni in aperta contraddizione tra di loro.
Una tradizione generalmente riconosciuta autentica dall'Islam afferma però che Muhammad avrebbe detto: «La mia Comunità non si troverà mai d'accordo su un errore». Ciò ha portato appunto alla costituzione del pilastro dell'ijmā, inteso come consenso delle scuole giuridiche e dei dotti giurisperiti. Il parere dei giurisperiti è il laborioso frutto di un'attenta analisi dei dati coranici o di quelli della Sunna. Per far questo si ricorre alla linguistica, alla storia o alla logica. Una volta che il parere sia stato espresso e risulti tanto convincente da aggregare intorno a sé un vasto consenso, quella interpretazione avrà allora pieno valore di legge, almeno fin quando non si crei un diverso consenso, elaborato da una nuova e diversa maggioranza.
FONDAMENTALISMO GIUDAICO
Sul fronte ebraico sono due i volti storici del fondamentalismo, attivi negli Stati Uniti e nello Stato di Israele. Il termine viene utilizzato principalmente per designare due gruppi caratterizzati da posizioni antitetiche circa la natura dello Stato di Israele: da una parte in riferimento a movimenti che contestano la fondazione terrena di Israele come Stato laico, considerandola una sorta di usurpazione del disegno messianico, che vede la costituzione di uno Stato in Terra Santa come realizzazione da operarsi solo per mano di Dio stesso. Dall’altra parte troviamo i nazionalisti dell’estrema destra israeliana che considerano lo Stato di Israele, per quanto un’entità secolare, la realizzazione del sogno religioso messianico.
Entrambe le correnti investono di significati religiosi anche le più laiche delle istituzioni israeliane. Negli ultimi anni si è verificato uno straordinario sviluppo del fondamentalismo giudaico, che si è manifestato attraverso una ferrea opposizione al processo di pace. Il fondamentalismo religioso ha svolto un ruolo essenziale sia nell'assassinio del primo ministro Yitzhak Rabin, sia nell'omicidio di 29 musulmani in preghiera, a opera del fanatico americano Baruch Goldstein.
I seguaci del fondamentalismo giudaico si oppongono al principio di uguaglianza di tutti i cittadini, specialmente dei non ebrei. Ancora più importante è il loro atteggiamento nei confronti della pace e della guerra. I fondamentalisti giudaici sostengono fermamente la guerra contro i palestinesi e si oppongono a qualsiasi ritiro dai Territori occupati. Motivando ciò con l’idea che l’apparente confisca della terra appartenente agli arabi sia in realtà un atto di santificazione, non un furto. Dal loro punto di vista quella terra viene redenta passando dalla sfera satanica a quella divina.
I fondamentalisti giudaici credono che Dio abbia dato tutta la Terra di Israele agli ebrei e che gli arabi che la abitano debbano essere considerati dei veri e propri ladri. Il rabbino Israel Ariel, storico leader fondamentalista, pubblicò un atlante in cui erano indicati tutti i territori che appartenevano agli ebrei e che dovevano essere liberati. Questo atlante comprendeva tutti i territori a ovest e a sud del fiume Eufrate e si estendeva per gran parte della Siria, dell'Iraq e dell'attuale Kuwait. Il rabbino Shlomo Aviner ha affermato:
"Dobbiamo vivere in questa terra anche a costo della guerra. Inoltre, anche se ci fosse la pace, dobbiamo istigare una guerra di liberazione per conquistare i territori».
Sebbene i fondamentalisti costituiscano una parte relativamente piccola del popolo di Israele, la loro influenza politica è molto incisiva. E se è vero che disprezzano i non ebrei, il loro odio nei confronti degli ebrei che si oppongono al loro punto di vista è spesso anche più forte.
Nascono cosi l’universalismo profetico ebraico, totalmente affidato alla volontà di Dio, il proselitismo dei cristiani chiamati ad “ammaestrare” tutte le genti, il richiamo coranico alla natura musulmana di ogni uomo.
E' allora che si pone il problema: cosa fare della religione degli altri? Tre monoteismi, tre universalismi. Ebraismo, Cristianesimo e Islam condividono il medesimo presupposto, ossia ciascuno di essi si dichiara l’unica religione vera, l’unica religione universale. Ma a quali condizioni la religione di un popolo può aspirare ad essere la religione di tutti i popoli?
Fondamentalismo, Laicità e Libertà religiosa: conclusioni
Finora abbiamo ragionato all’indicativo. Cos’è il fondamentalismo? Forse è venuto il momento di cambiare il modo del verbo e passare al condizionale. Ponendoci delle domande, sollevando dubbi, che con la storia del fondamentalismo come manifestazione più o meno oggettiva nulla hanno a che fare.
Arrivati a questo punto ci poniamo il quesito centrale: si può parlare di fondamentalismo ogni qual volta si puntano i piedi a difesa di valori e principi assolutamente non negoziabili? Facciamo un esempio che nulla ha a che vedere con la religione ma che può tornare utile al ragionamento. George Bush senior, il padre dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, in occasione del primo vertice mondiale sull'ambiente a Rio De Janeiro, fece una dichiarazione che di fatto paralizzò i lavori del vertice. Poche ma significative parole: the american way of life is not negotiable. Il messaggio era chiaro: se il vertice ambientalista chiede agli americani di limitare l’emissione dei gas serra, di ridurre il consumo energetico e modificare le abitudini di vita basate su un indiscriminato spreco delle risorse, sappia pure che lo stile di vita americano non è negoziabile. Perché questo è, quindi, un valore assoluto sul quale non si discute, non si scende a compromessi, non si media né si tratta. Domanda: è questa una forma di fondamentalismo?
Le ragioni per rispondere positivamente a questa domanda sono evidenti. Di fronte ad un problema mondiale di proporzioni molto preoccupanti come il surriscaldamento del clima e l’inquinamento del pianeta, il Presidente Usa volle mettere in chiaro che i fondamenti su cui si basa(va) lo stile di vita della sua nazione venivano prima di qualsiasi altra cosa. Atteggiamento di chiusura, questo, di non accettazione del cambiamento, di rifiuto del confronto con altre verità rispetto alle proprie.
Uscendo fuori dall’esempio, ci domandiamo: ogni dichiarazione di assoluta ed irrinunciabile contrarietà da parte della Chiesa a porsi in un atteggiamento di ascolto e mediazione nei confronti delle istanze che provengono dalla società – che si chiamino Dico o ricerca sulle cellule staminali o, ancora, eutanasia – è qualificabile come un atto di fondamentalismo?
Ognuno risponde a questa domanda secondo la propria coscienza e la propria cultura e sensibilità. Noi lasciamo volutamente priva di risposta questa provocazione. Anche all’interno del nostro gruppo sussistono, a questo rilievo, posizioni differenti. Ma è importante anche solo porla la domanda. Per tentare di allargare le nostre menti ad altre possibili, discutibili ma argomentabili, declinazioni del termine fondamentalismo.
Perché è quanto mai sottile la linea che separa un giusto e sano diritto alla libertà religiosa dalla sua degenerazione, ovvero dal fondamentalismo.
Una linea che da alcune parti è stata fatta passare attraverso il concetto di dimensione privata della religione. Perché tratto fondamentale di ogni accezione del fondamentalismo è il rifiuto di accettare di vivere la propria fede in modo privato. La religione invece – sostiene chi ne propugna una dimensione fondamentalista – deve avere un suo spazio pubblico, politico.
A questo proposito riprendiamo nuovamente in prestito le parole di Luigi Tosti. Questa volta tratte da un altro articolo, datato ottobre 2006, pubblicato su la Lente…
Il ragionamento del magistrato romagnolo ci porta direttamente al cuore del problema: la laicità. Al capo esattamente opposto del concetto di fondamentalismo c’è la dimensione privata della religione. E, di conseguenza, la laicità dello Stato.
Ma se affrontiamo il problema con una prospettiva propriamente giuridica, quale lucchetto troviamo a serrare le porte della laicità e a difesa e legittimazione di riflussi fondamentalisti?
Se guardiamo al dibattito intorno ad alcuni nodi cardine della legislazione – soprattutto in Italia ma non solo – da parte della Chiesa cattolica, del suo primo interprete, ovvero Papa Benedetto XVI, e della Conferenza episcopale italiana di Camillo Ruini e Angelo Bagnasco, il principale ostacolo che viene posto alla piena affermazione di un’impostazione laica e civile dell’ordinamento è il diritto naturale.
Già, proprio quel diritto naturale contro cui la Chiesa uscita sconfitta dalle rivoluzioni liberali di fine Settecento si era tanto animatamente scagliata, oggi torna di moda, o torna comodo, come principale arma di difesa dalla secolarizzazione sempre più spinta delle legislazioni laiche. È appellandosi al diritto naturale che il Pontefice e i suoi più stretti collaboratori intendono opporsi a qualsiasi provvedimento di regolamentazione delle coppie di fatto, alla ricerca su cellule staminali, alla legalizzazione dell’eutanasia. Così come tornano ora a porre sotto pesante critica le legislazioni sull’aborto.
Nessuno – se non all’interno della Chiesa – usa più il termine “diritto naturale”. Le teorie giusnaturalistiche e le sue implicazioni sociali hanno fatto il proprio corso storico e sono state col tempo accantonate. Solo la Chiesa, ancora, e in aperto contrasto con se stessa a distanza di poco più di un secolo, continua a dichiararne la fondamentale importanza come strumento di una giusta legislazione. Ponendosi – ovviamente – come unica depositaria dell’unico modo di leggere questo diritto inscritto nel cuore di ogni uomo, di interpretarlo e di renderlo cogente attraverso la sussunzione della legge civile all’interno dei suoi principi.
E' dunque contrario al diritto naturale abortire, morire per propria volontà, donare parte del proprio corpo per fini di ricerca (cellule staminali), esercitare il proprio diritto all’affettività al di fuori del sacramento del matrimonio. E grazie all’appello alla indisponibilità dei principi del diritto naturale, ecco che la Chiesa sottrae alla legittimità del dibattito politico-giuridico numerose materie, ritenute di sua competenza.
Siamo forse, di nuovo, di fronte ad un caso di fondamentalismo? Possiamo dunque considerare fondamentalista la volontà di sottrarre alla legge civile istituti e istanze provenienti dalla società ma considerate dalla Chiesa contrarie al diritto naturale?
Anche rispetto a questo quesito vogliamo lasciare aperta la risposta. Ragionando però con l’ottica dello storico del diritto non possiamo fare a meno di notare come dietro questo tentativo di appropriarsi degli schemi logici e logico-giuridici tipici del giusnaturalismo si nasconda un profondo malessere da parte della Chiesa. Un malessere, chiamiamolo così, giuridico: la mancanza di alternative valide all’accettazione di quei principi di laicità, di relativismo giuridico ed etico, ha fatto riscoprire alla Chiesa un modo di intendere il diritto che non solo è stato spazzato via dalla Storia, ma che la stessa Chiesa aveva additato come male assoluto poco più di un secolo fa. Potremmo definirla una forma di debolezza. Alla quale rispondere con un ferreo arroccamento e ripiegamento su se stessa. Un altro modo per dire fondamentalismo.
Tornando alla premessa di questo lavoro, ragionare di fondamentalismo significa anche ragionare del concetto di identità. Significa ragionare su cosa sia la laicità e di quali contenuti essa debba essere vestita. Significa prendere coscienza del fatto che – data per scontata la fondamentale presenza di un forte elemento religioso nella natura di quella particolare specie di mammifero che chiamiamo homo sapiens – lo scontro fra le esigenze identitarie e quelle di convivenza fra diversi deve fare i conti con la naturale tendenza all’assolutizzazione dei principi e delle verità. Col fondamentalismo, quindi. E soprattutto significa prendere atto che fra queste due opposte istanze – quando si prende in considerazione l’elemento religione – non c’è altra via se non quella del conflitto. Magari, e questo è un augurio che ci facciamo, un conflitto che però si manifesti all’interno di una dimensione dialettica, democratica, e non militare.
La fede è una corda alla quale si rimane appesi, quando non ci si impicca. Sören Kierkegaard
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