di Maria Mantello
Sono passati 20 anni da quando a Milano il 27 giugno 1992, il consigliere Paolo Hutter univa in matrimonio ben 10 coppie gay in piazza della Scala. Una cerimonia priva di valore giuridico, ma che aveva il merito di porre sotto gli occhi di tutti la normalità dell’omosessualità.
Due anni prima, il 17 maggio 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva finalmente riconosciuto che l’omosessualità è una «variante naturale del comportamento umano», «una caratteristica della personalità».
Era un grande passo avanti per le organizzazioni gay che adesso esigevano quel pubblico riconoscimento di normalità che significava diritto di poter vivere in coppia senza nascondersi. Era questa una battaglia di civiltà, e politicamente la strada maestra per sconfiggere il pregiudizio: omosessualità = devianza.
L’aspirazione ad una serenità e stabilità affettiva è un diritto umano fondamentale. Un diritto civile che lo Stato democratico deve garantire a tutti. La democrazia non è infatti un semplice enunciato ma pratica concreta, fattiva, che nella costruzione della civile convivenza democratica educa e vincola ognuno ad obbedire alle regole di civiltà democratica.
Nei simbolici matrimoni gay c’era tutto questo. Un diritto alla parità nel riconoscimento pubblico del desiderio di vita normale, che prevede anche l’aspirazione di essere coppia, famiglia, come qualsiasi altra coppia eterosessuale.
Questa battaglia per il riconoscimento delle coppie di fatto si è fatta sempre più incisiva del resto negli ultimi anni, quando, di fronte ad una concezione della famiglia storicamente mutata si chiedeva allo Stato liberal-democratico una legge del Parlamento affinché diritti e doveri di ogni coppia stabile venissero sanciti e tutelati.
Così non è stato. I tentativi (dico, pacs) sono andati puntualmente falliti, affossati da un ceto politico retrogrado, bigotto e sempre prono per proprio tornaconto ai dictat vaticani.
Tuttavia, che in Italia sussistessero da molti anni diverse forme di famiglia lo Stato ne aveva dovuto ben prendere atto, se non altro per i problemi di registrazione anagrafica, che lo avevano costretto a sostituire l’ormai il superato regolamento del 1958 col D.P.R. 223 / 1989, dove all’art. 4 si legge:
«agli effetti anagrafici per la famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune».
Insomma il “vincolo affettivo”, seppure a livello burocratico, è da tempo riconosciuto, e quindi non è un’invenzione di distruttori della famiglia, come i reazionari vorrebbero far credere. Come pure “la famiglia insieme di persone”. Una dicitura presente all’inizio (poi tolta) anche nella delibera del Comune di Milano per le coppie di fatto e che ha fatto sobbalzare la mitra di Angelo Scola, che ha parlato di apertura alla poligamia (vietata –come noto- dalla legge italiana).
Quindi, tornando al D.P.R. 223 / 1989, se i Comuni riconoscono l’esistenza di diverse forme di convivenza sul territorio da loro amministrato, è evidente che debbano consentire ad esse anche tutele e pubbliche garanzie di cui beneficia la così detta famiglia tradizionale.
L’anagrafe delle coppie di fatto, allora non solo non è illegale, ma dovuta. E le amministrazioni progressiste si sono impegnate in questo. Che poi questi albi abbiano assunto una formidabile valenza simbolico-politica determinando anche aspettative che non possono essere assolutamente competenza di un Ente locale, è solo dovuto alla latitanza di una legge del Parlamento in materia.
Fatto sta che dal 1992 ad oggi si sono moltiplicati Comuni e Municipi che hanno istituito i registri delle unioni civili, contrastati ogni volta sempre con veemenza delle forze clericali. Queste coorti integraliste -con la tonaca e senza tonaca- le abbiamo viste scendere in campo più agguerrite che mai a Milano, per giocare la loro astorica strumentale partita ideologica.
Con loro buona pace, però, dopo tante polemiche e tre sedute comunali di fuoco, il 27 luglio alle 3 e mezza anche Milano ha potuto istituire il registro delle unioni civili. Ha vinto Pisapia, il Sindaco della rivoluzione arancione, che si è guadagnato il consenso proprio perché fuori dalle turbe delle congreghe e delle caste della corruttela partitocratica. Il Sindaco di sinistra che anche davanti a papa Ratzinger il primo giugno a Piazza Duomo aveva mantenuto alto il senso laico dello Stato. Il Sindaco che ha rimesso in moto il valore della politica come bene comune per ognuno e per tutti.
Anche per questo il registro delle coppie di fatto a Milano è molto di più di un semplice atto amministrativo, perché significa che il vento di maggio che ha portato Pisapia a Sindaco di Milano continua a soffiare alto. E noi speriamo che travolga le insane alleanze con quella palude centrista che ha sostenuto il ventennio berlusconiano.
(30 luglio 2012)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/maria-mantello-unioni-civili-ha-vinto-la-rivoluzione-arancione/