Una cosa infatti è averla come privato cittadino: uno può anche essere pazzo e non per questo essere pericoloso. Un’altra invece è pensare di poter organizzare un’insurrezione in nome di quella pretesa.
Certo, anche un privato cittadino può diventare, in nome del suo dio o della propria figliolanza divina, una sorta di “giustiziere della notte” contro i peggiori criminali. I film americani sono pieni di figure del genere, che non credono nella giustizia dello Stato e che, pur non dichiarandosi delle divinità (perché dai tempi di Cristo, per fortuna, non son passati invano duemila anni di storia), di fatto si comportano come se lo fossero.
Tuttavia un soggetto di questo tipo resta infinitamente meno pericoloso di un leader politico che, propagandando la sua ideologia come l’unica verità esistente, riesce a convincere migliaia, decine di migliaia, se non milioni di persone. Quanti lutti e devastazioni ci saremmo risparmiati bloccando sul nascere, con le buone o con le cattive, personaggi come Hitler e Stalin?
Alcuni potranno obiettare che Cristo non voleva compiere alcuna insurrezione, né anti-romana né anti-giudaica, proprio perché non entrò a Gerusalemme in groppa a un cavallo ma a un asino, essendo un messia del tutto pacifico. Ma un’obiezione del genere non regge.
Se il Cristo non voleva liberare la Palestina dai romani, qualcosa però di eversivo lo voleva fare, altrimenti avrebbe dovuto limitarsi a restare privato cittadino. Se la sua rivoluzione era solo di tipo «religioso», resta il fatto che pretendeva d’essere considerato una «divinità». Sin dal primo vangelo, ove pur s’è teorizzato il «segreto messianico», se ne parla in maniera molto esplicita. Mentre si trovava sotto le grinfie di Caifa, costui gli chiese: «Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?». «Io lo sono! - rispose Gesù - E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte (Mc 14,61 ss.).
Insomma il problema resta: è ridicolo pensare - come ci induce a fare lo stesso Marco - che i capi giudei l’abbiano ammazzato perché «invidiosi» (15,10) delle sue prerogative. Semmai, se proprio vogliamo spezzare una lancia a favore di Caifa, perché temevano ch’egli potesse utilizzare le proprie capacità per distruggere tradizioni ebraiche consolidate (sulla cui liceità o legittimità Caifa non era però disposto neppure a discutere). Ci riferiamo alle questioni, più volte dibattute nei vangeli, del tempio, del sabato, dei cibi impuri, del tributo ecc.
In fondo un messia poteva decidere d’entrare a Gerusalemme in groppa a un asino solo per ostentare un falso buonismo, per scelta tattica, non per convinzione etica. Chi potrebbe accusare l’ebreo di non aver accettato di credere nella sincerità di una persona che dichiarava d’essere «divina»?
Possiamo addirittura arrivare a dire - sempre per fare un favore al giudaismo istituzionale di quel tempo - che il Cristo meritava d’essere eliminato anche se, in nome della propria «divinità» avesse voluto fare un’insurrezione anti-romana. Infatti, che senso avrebbe avuto liberarsi di un imperatore figlio di dio per sostituirlo con un proprio messia divino?
Anche nel caso in cui questo messia, in forza della propria divinità, avesse compiuto straordinari prodigi, o addirittura avesse abbattuto l’impero, nulla in realtà avrebbe potuto assicurare ch’egli non si sarebbe mai servito dei propri poteri contro gli stessi ebrei.
Qui insomma bisogna rendersi conto che qualunque pretesa di considerare il singolo superiore al popolo, va guardata con sospetto, anche nel caso in cui egli fosse davvero un dio.
Ma ci sono altre due cose da considerare. Prima abbiamo detto che, poiché il Cristo pretendeva d’essere considerato una divinità, un ebreo avrebbe anche potuto pensare ch’egli volesse sostituire il proprio potere politico-religioso a quello dei sommi sacerdoti. (1)
In tal caso Roma (impersonata da Pilato) l’avrebbe giustiziato soltanto per un tragico malinteso, cioè per non aver capito in tempo come servirsene per gli interessi dell’impero, essendosi lasciata condizionare, nell’interpretazione dell’evento Gesù, dalla lettura che ne davano i sommi sacerdoti. Cristo non sarebbe stato un «politico rivoluzionario» ma un semplice «riformatore religioso», un novello Battista, benché nella Palestina d’allora si facesse poca differenza tra politica e religione.
D’altra parte, anche se non ci fosse stato questo condizionamento, non si può dar torto a Pilato: era nel suo diritto temere che la pretesa religiosa alla divinità potesse unirsi a una pretesa politica, che necessariamente si sarebbe posta in maniera alternativa a quella degli imperatori.
Ovviamente stiamo ragionando per assurdo, poiché da tempo l’esegesi laica sa bene che Pilato giustiziò il Cristo proprio in quanto pretendente al trono d’Israele in funzione antiromana. E quella volta essere «contro Roma» voleva appunto dire essere avversi a ogni tendenza imperialistica. Pilato sperimentò di persona che voleva anche dire essere ostili a ogni rappresentazione religiosa del potere politico contraria a quella ufficiale di Israele. Ma se avessero vinto i nazareni, avrebbe dovuto constatare un’avversione a qualunque nesso tra religione e politica.
Il secondo ragionamento da fare riguarda l’idea secondo cui il Cristo andò a Gerusalemme non per fare un’insurrezione contro Roma o contro il Tempio, bensì per farsi crocifiggere, dimostrando così che gli ebrei non avrebbero più potuto rivendicare alcun primato etico-religioso o storico-politico nei confronti dei pagani.
In sostanza la tesi (di derivazione paolina) che i vangeli sostengono è che gli ebrei non potevano non uccidere il Cristo, proprio perché non avrebbero mai potuto accettare che un uomo si facesse dio.
Questa versione ufficiale delle cose, oltre che irrazionale, in quanto fa dipendere la verità dal martirio, è profondamente antisemita, in quanto condanna, senza riserve, un intero popolo, con tutta la sua cultura, a una maledizione eterna, dalla quale può sperare di liberarsi solo a condizione che smetta d’essere se stesso.
(1) Se ci pensiamo, in nome della divinità del Cristo, fu proprio il papato romano che, con l’idea di teocrazia, si sostituì all’ebraismo politico, usando in forme più evolute e a livello internazionale, gli stessi strumenti integralistici che quest’ultimo aveva usato a livello nazionale.
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