sabato 28 luglio 2012

Primavera tradita

Le rivolte arabe non mantengono le promesse. Il rischio ora è disordine, dittatura, teocrazia. Una laicizzazione dell’islam deve essere possibile

La donna che vi sta parlando appartiene a una specie in via di estinzione, dato che vede incrinarsi tutto ciò a cui ha dedicato la propria carriera di scrittrice, di scienziata e di artista. La superstizione sta tornando al galoppo, il dialogo tra le culture si dissolve in una globalizzazione mercantilistica in cui l’espressione “interesse comune” ha sostituito quella di amicizia tra i popoli. Un’amarezza planetaria che toglie ogni speranza a una cultura mondiale della pace. Purtroppo le rivolte arabe non mantengono le loro promesse, precipitando i popoli nel disordine, nella dittatura, nella teocrazia. Tunisia, Egitto, Libia, Mali sono nelle mani degli islamici; il Marocco ha un governo islamico nel quale l’unica donna che ne fa parte trova normale – è scritto nella legge – che uno stupratore sposi la propria vittima (caso Amina Filali, suicidatasi il 13 marzo 2012). La Siria, se cadesse il regime, sarebbe wahhabizzata, cadrebbe cioè nelle mani di fanatici e di iper rigoristi, finirebbe in pasto all’Arabia Saudita che vuole dettare legge nel mondo arabo grazie ai suoi petrodollari. Anche se decapita gli omosessuali, che è solo uno fra i tanti esempi di medievalismo (le donne non possono guidare una macchina, assistere alle lezioni con gli studenti e così via). Fin dove può arrivare la teoria del disordine e del caos costruttivo?


Constatando che, contro il terrorismo islamico, nessuna vittoria decisiva è in vista, alcuni pensano che, per dominarlo meglio, converrebbe ubbidire all’islamismo. Sarebbe una cura ben peggiore del male. Per contrarlo, quel male, è sufficiente che arrivi un predicatore affetto da wahhabismo che si metta a indottrinare, per una santa causa, i giovani sbandati dei quartieri difficili, che sono vere e proprie bidonville mascherate a stento da abitato cittadino. La cosa più grave è che il wahhabismo regna sovrano sugli studenti delle università, come ho constatato a Agadir, alla facoltà di Lettere e Scienze umane, alla fine dello scorso aprile. Gli integralisti, i fondamentalisti, i salafiti, gli islamisti aggrediscono le ragazze vestite normalmente, chiudono quelle creature nel burqa nero, corvi che gracchiano all’assalto delle istituzioni giuridiche. Questo stato di fatto è senza speranza? Dipende da quello che faranno gli europei, gli arabi e i mediterranei. L’islam ha più di quattordici secoli di vita. Come tutte le religioni, la sua storia ha conosciuto scismi, scossoni, fiammate di fanatismo, lotte intestine, anche guerre, ma è solo da una quarantina d’anni che ha generato una sottogenerazione ottusa e aggressiva; le ragioni di questa escrescenza sono numerose e la religione rimane analizzata poco o male. (…)

La grande ipocrisia

I Paesi arabi sono invasi dai barbuti vestiti all’afghana. (Negli ambienti delle persone che ragionano vengono chiamati “i teppisti di Dio”, invece che i folli di Dio). In Tunisia, in Egitto, in Libia, nello Yemen, molestano le ragazze refrattarie al velo, disturbano le lezioni all’università. Tollerati dai regimi al potere, si fanno odiare da tutti coloro che aspirano a un altro islam, a un’altra società, a un’altra vita politica. Cosa più emblematica, gli islamici cominciano a dimenticare i ventitré anni di dispotismo e di corruzione di Ben Ali per prendersela violentemente con Habib Bourguiba, emancipatore delle donne tunisine e messaggero della modernità, attorno alla cui eredità infuria lo scontro contro l’oscurantismo: notizie diffuse sul web, dai liberali, da coloro che hanno certamente voluto la rivoluzione, ma che ora non comprendono la piega che sta prendendo. La situazione in Egitto è ancora più catastrofica che negli altri Paesi della Primavera araba, portatrice di una grande speranza che ha preso alla sprovvista il mondo intero. Nelle città egiziane, l’ipocrisia si diffonde in tutte le libere professioni: per grazia di Dio, avvocati barbuti fanno vincere processi già persi; i medici, con i versetti propiziatori sulle labbra, rivelano che è Dio a inviare la malattia, a guarire e a decidere della vita o della morte. I responsabili europei, che siano a Bruxelles o in missione, dichiarano che l’Europa è pronta a dare il suo aiuto in modo ragionevole ed efficace. Ma l’Europa è cosciente della posta in gioco? Si rende conto di quello che succede e dell’impossibilità di predire quello che succederà? Un’Europa forte e unita può rappresentare un modello per il progetto di emancipazione delle donne arabe e musulmane, aiutando i partner del Sud a creare posti di lavoro e a far applicare le leggi internazionali a favore delle donne. Gli arabi conoscono fin troppo bene l’orrore del loro presente. Da sempre, le autorità religiose hanno cercato di condividere il potere con le autorità civili. Le autorità politiche, con le loro prerogative, devono prendere le distanze dalle interferenze di ulema, mullah e fuqahà. Insomma, in terra d’islam una qualche sorta di laicità dovrebbe essere possibile. L’islam che viene definito rigorista o radicale vede la sua nascita sulla scia della lotta anticoloniale e come reazione all’abolizione del califfato ottomano a opera di Atatürk nel 1924, all’apparizione al Cairo delle prime suffragette, alla liberalizzazione della condizione femminile voluta da Habib Bourguiba e da Mohammed V in Tunisia e in Marocco. Venne quindi creata, con l’aiuto degli Usa, l’Associazione dei Fratelli musulmani, espressione politicizzata di una società patriarcale arcaica, ben ancorata ai propri tabù e privilegi, che si difende sbarrando tutte le porte che portano a una modernità liberatrice. (…)

Il femminile di Dio non esiste

L’umanesimo europeo può salvare le donne delle rive meridionali del Mediterraneo, ma anche gli uomini hanno bisogno di essere salvati. Insieme ai popoli più a sud, in Africa nera, popoli che gli europei hanno colonizzato in tempi non molto lontani. Altrimenti, affonderemo, avvolti nei burqa, nella melassa nera del petrolio, entrambi sauditi. Sguazzeremo sempre più nel lerciume medievale in cui sprofondiamo ogni giorno di più: scuole per ragazze separate da quelle per ragazzi, più dell’80 per cento di ragazze col velo, spiagge per uomini e spiagge per donne, divieto di passare il tempo libero al di fuori della famiglia; cinema e arte cosiddetti “puliti”, ossia vuoti come gli sceneggiati egiziani di cui si sono rimpinzati e inebetiti generazioni di maghrebini; scienza senza esistenza, donne analfabete e tenute nell’oppressione patriarcale… invitate in Marocco a soddisfarsi con le carote, le bottiglie o il pestello del mortaio; per non parlare dello sceicco Zemzami secondo il quale è lecito l’accoppiamento con la consorte appena defunta. Intanto, i linguisti di lingua francese della facoltà di Lettere di Agadir, da dove ora sto arrivando, si fanno rispondere dai loro studenti che il femminile di Dio, nel vocabolario, non esiste (Rita El Khayat).

Traduzione a cura dell’Alliance française di Trieste,
revisione di Anna Zoppellari.
Per la traduzione italiana ©Lettera internazionale

Rita El Khayat. Un medico contro il fondamentalismo

Da sempre in prima linea per i diritti delle donne, il medico e scrittrice Rita El Khayat è nata nel1944 aRabat in Marocco, da madre marocchina e padre andaluso. E nella sua vita ha intrecciato a sua volta molte culture, quella araba, quella francese e quella italiana. Nel 2007 è stato il Presidente Giorgio Napolitano a insignirla della cittadinanza onoraria. Un riconoscimento che fa seguito anche agli anni di ricerca e di insegnamento che Rita El Khayat ha trascorso in Italia tenendo corsi all’università di Chieti. Candidata al premio Nobel per la Pace la scrittrice marocchina ha tenuto al Parlamento europeo un discorso sui diritti negati delle donne nel mondo musulmano, dove la deriva religiosa e fomdamentalista è più forte. Un discorso scomodo, diretto, e che su molti punti (vedi il passaggio sulla rivoluzione egiziana tradita) quando è stato pronunciato lo scorso 8 marzo a Bruxelles preconizzava ciò che sta accadendo oggi dopo le elezioni egiziane. In queste pagine ne pubblichiamo uno stralcio per gentile concessione della rivista Lettera internazionale su cui apparirà l’integrale. All’interno di un numero 112 del trimestrale (in tutte le librerie a luglio) che fa delle donne nel mondo arabo la cover story, con interventi della poetessa e scrittrice Vénus Khoury-Ghata, della scrittrice Leila Marouane, autrice di Doppio ripudio (Epoché). E molte altre.

http://www.left.it/2012/06/28/egitto-primavera-tradita/4725/