Alle Nazioni Unite, ancora una volta paesi islamici e Vaticano uniti contro i diritti delle donne. Non è la prima volta che si forma questa ’santa’ alleanza per rendere di fatto inefficaci risoluzioni o documenti delle Nazioni Unite volti a tutelare la libertà e l’autonomia delle donne.
Tra il 4 e il 15 marzo si è tenuta nella sede dell’Onu a New York la cinquantasettesima sessione della Commission on the Status of Women, che aveva come tema l’eliminazione e la prevenzione di ogni forma di violenza contro le donne e le ragazze. La commissione Onu stava lavorando a un documento, che tuttavia è stato contestato in diversi punti proprio dai paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC) e dalla Santa Sede, entrambi osservatori permanenti alle Nazioni Unite. Fortunatamente l’opposizione da parte di Vaticano, Honduras, Russia, Iran, Egitto, Arabia Saudita, Qatar, Libia, Nigeria e Sudan non ha bloccato l’adozione delle Agreed Conclusions.
In particolare, denunciano gli attivisti per i diritti umani, la cordata vaticana voleva togliere i riferimenti alla contraccezione, all’interruzione volontaria di gravidanza e al trattamento e la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili quali diritti da garantire alla donne che subiscono violenza. Invece la cordata islamica puntava piuttosto a introdurre una clausola che permettesse agli stati di non implementare gli strumenti per garantire questi diritti alle donne nel caso in cui fossero in contrasto con la legge in vigore e con i “valori” religiosi o culturali. In pratica, le due impostazioni convergevano negli obiettivi, per negare alle donne tutele sulle conseguenze di stupro o violenza: la Chiesa cattolica invocava il ‘valore della vita’ per imporre un’agenda no-choice in sede internazionale, mentre i paesi islamici intendevano far valere una sorta di ‘obiezione di coscienza statale’ proteggendo la propria impostazione confessionalista che pone le donne in uno stato di minorità.
In Libia l’organismo riconosciuto che emette fatwa (Dar Al-Ifta) ha invitato le donne a protestare contro l’Onu, contestando che il documento in via di approvazione “avesse come obiettivo la distruzione della famiglia e la promozione della decadenza morale”. Anche in Egitto ci sono state manifestazioni islamiste durante la conferenza contro l’approvazione di certi punti nella dichiarazione Onu. I Fratelli Musulmani sono scesi in piazza sostenendo che End Violence against Women andasse contro la sharia. In un comunicato hanno sostenuto che il documento avesse un titolo “fuorviante” e che comprendesse “articoli che contraddicono i principi dell’islam” e che “puntano a distruggere la famiglia”. Di più, che fosse “l’ultimo passo per conseguire una invasione intellettuale e culturale” della società islamica. Il gruppo islamista, di cui fa parte il presidente in carica Muhamed Morsi, ha contestato diversi punti. Come gli articoli volti a garantire alle donne la libertà di scelta nel decidere il genere del partner, la contraccezione alle adolescenti ed eguali diritti per gli omosessuali nonché la protezione legale della prostituzione. Ma pure che venisse garantita uguaglianza alle donne nella vita matrimoniale, in materia di eredità (considerato che la legge islamica prospetta uno squilibrio tra le parti) e con la possibilità di denunciare il marito in caso di stupro.
Sebbene non sia vincolante, si ritiene che il documento Onu possa avere qualche influenza sugli stati aderenti affinché prendano misure che vadano verso la garanzia dei diritti. Come fanno notare molti paesi che l’hanno sostenuto, gli attivisti per la difesa delle donne e le organizzazioni non governative, è comunque un traguardo importante. Di questo parere è ad esempio Shannon Kowalski, a capo dell’International Woman’s Health Coalition, che fa anche notare come si sarebbe potuto andare anche oltre menzionando anche lesbiche e transgender. Ma, aggiunge, “per la prima volta” i governi “si sono detti d’accordo ad assicurare che le donne stuprate possano avere servizi sanitari fondamentali, come la contraccezione d’emergenza e l’aborto sicuro”.
È noto il pressing in sede internazionale delle religioni organizzate da cui diverse volte abbiamo messo in guardia. Non solo per dare tutele privilegiate contro la “blasfemia” in modo da soffocare qualsiasi forma di critica laica e libertà di pensiero dei non credenti o per frenare il riconoscimento dei diritti degli omosessuali, entrambe categorie tuttora oggetto di legislazione repressiva in diversi paesi islamici. Ma in maniera molto più invasiva — e con conseguenze più nefaste e drammaticamente diffuse — proprio contro l’autodeterminazione della donna.
È ormai riconosciuto anche dalla comunità scientifica che negare la possibilità alle donne di usufruire della contraccezione o dell’aborto e di anche solo dei rudimenti del family planning incida pesantemente sulla mortalità femminile. Sempre Vaticano e comunità islamica si sono schierati lo scorso ottobre contro una risoluzione dello United Nation Human Rights Council, bollata con preoccupazione da Avvenire come “prima sostanziale apertura a questi livelli dell’idea dell’aborto come ‘diritto’ delle donne”. Ma già nel 2008 l’osservatore vaticano presso l’Onu, monsignor Celestino Migliore, attaccava come “barbarie moderna” la possibilità — caldeggiata dalle associazioni pro-choice e di tutela dei diritti e della salute delle donne — di riconoscere l’interruzione di gravidanza in sede internazionale.
Le organizzazioni femminili hanno sempre denunciato la tendenza delle confessioni religiose a fare lobbying per imporre discriminazioni basate sui “valori tradizionali”, appellandosi all’Onu anche nell’aprile del 2012. Non a caso Rachel Harris, esponente della Ong Women Environment and Development Organization che assiste le donne nei paesi in via di sviluppo, abbia parlato esplicitamente nel giugno scorso di un trasversale “asse del male contro le donne” composto da Vaticano e paesi islamici, proprio per cassare un paragrafo del documento finale che parlava dei diritti riproduttivi come mezzo per alleviare la pressione del genere umano sull’ambiente. Riteniamo che non sarà l’ultima volta che le religioni continueranno a frenare il riconoscimento dell’autonomia femminile a livello mondiale. Non rendendosi conto che ciò crea non solo macroscopiche violazioni dei diritti e della dignità, ma diventa un pesante ostacolo allo sviluppo dei paesi più svantaggiati e contribuisce con l’insistenza sul natalismo a tutti i costi a mettere in serio pericolo gli equilibri ambientali del pianeta.
Visto che il nuovo papa Francesco, osannato dai media e dall’opinione pubblica, si è appellato ai potenti per la difesa del “creato” e dei “più deboli”, forse è il caso che anche lui stesso faccia qualcosa di davvero rivoluzionario e concreto su una questione come la contraccezione, che incide anche sull’ambiente oltre che sulla vita delle donne, in troppi paesi le “più deboli”. Perché è proprio lui, nonostante si atteggi a umile, uno dei potenti che hanno in mano i destini del mondo. In caso contrario, se passata la luna di miele mediatica e le parole tenere ci ritrovassimo con la stessa dura opposizione clericale, sarebbe un male per tutti.