Padre Lombardi, il direttore della sala stampa del Vaticano, cita il Nobel Perez Esquivel, e tutti a citarlo. Le parole di Esquivel vanno dunque lette con grande attenzione. Ne viene usato solo uno stralcio, ma logica vuole che il discorso sia stato assunto integralmente dal Vaticano, e questo comporta una notizia di straordinaria importanza: l’ammissione, ben oltre le generiche scuse, delle gravissime complicità della chiesa con la dittatura di Videla, Massera e Agosti: ciò che le Madres, le Abuelas e gli organismi per i diritti umani argentini chiedono inutilmente da anni.
Scrive Esquivel: “Celebriamo la nomina del primo Papa latinoamericano nella storia della Chiesa cattolica e la sua scelta del nome portatore di speranza Francesco […]. Speriamo che abbia il coraggio di difendere i diritti dei popoli davanti ai potenti, senza ripetere i gravi errori, e anche peccati, che fece la Chiesa. Durante l’ultima dittatura argentina, i membri della Chiesa cattolica non ebbero comportamenti omogenei. É indiscutibile che ci furono complicità di buona parte della gerarchia ecclesiastica nel genocidio perpetrato contro il popolo argentino, e se anche molti, con “eccesso di prudenza”, fecero gesti silenziosi per liberare i perseguitati, furono pochi i pastori che con coraggio e decisione assunsero la nostra lotta per i diritti umani contro la dittatura militare. Non credo che Jorge Bergoglio sia stato complice della dittatura, ma credo che gli mancò il coraggio di essere vicino alla nostra lotta per i diritti umani nei momenti più difficili […]. Per questo speriamo che non dimentichi le parole del vescovo martire argentino, Monsignor Enrique Angelelli, quando diceva che “dobbiamo dare ascolto con un orecchio al Vangelo e con l’altro al popolo, per sapere cosa ci sta dicendo Dio”.
É strano che un testo di questa potenza venga metabolizzato come nulla fosse. Che ne venga tratto un giudizio di discolpa nei confronti di Jorge Bergoglio, di cui nessuno ha mai detto che sia stato attivamente complice nelle torture e nelle sparizioni. É stato detto, invece, che ha fatto parte di quella condizione di possibilità delle dittature, dove alcuni stanno nei palazzi del potere e altri con la resistenza, con gli ultimi, con i torturati, con gli scomparsi. I cappellani militari confessavano e assolvevano i militari che tornavano dai voli della morte, dopo aver gettato i prigionieri in mare. Bergoglio non è stato condannato da nessun tribunale, ma secondo alcune testimonianze gli si imputa di aver segnalato come sovversivi i sacerdoti Yorio e Jalics, e di aver risposto ai parenti di una ragazza alla quale era stato portato via il figlio di non preoccuparsi, che il bambino stava bene, era in una famiglia per bene. In Argentina, le prigioniere incinta venivano fatte partorire in una sala dell’Esma, e poi gettate in mare. I bambini venivano dati in gran segreto ai militari e ai complici della dittatura: molti di loro ancora oggi non sanno nulla delle loro vere origini.
Quando andai in Argentina per scrivere un libro sulla storia delle Madri, Hebe de Bonafini mi raccontò la storia di un gruppo di donne profondamente cattoliche, che all’inizio della loro tragedia avevano chiesto aiuto alla Chiesa nella ricerca dei propri figli. E mi raccontò il dolore per il ripetuto rifiuto di una parola di conforto da parte dell’allora papa Woytila.
“Dal Papa fummo ricevute per la prima volta nel 1979, ma rimanemmo deluse. Gli portammo le fotografie delle nostre madri scomparse e lui non alzò neanche la mano per prenderle. Poi, nel 1980, andammo in venti madri a Porto Alegre per incontrarlo. Lì ci ricevette di nuovo e disse una frase che ci colpì al cuore: qualcuno dei vostri figli lo tornerete a vedere. Un’affermazione del genere creò in noi tutte un’aspettativa impressionante ma, siccome non tornava nessuno, nel 1983 gli chiedemmo un altro incontro. Andammo io e un’altra madre, e io gli chiesi, Santo padre, perché, con la stessa forza con cui chiede giustizia per la strage di Bologna, non chiede giustizia per i desaparecidos argentini? Lui, anziché risponderci, ci regalò un rosario, uno a me e uno all’altra madre. Santità, gli dissi, di croci ne ho già abbastanza, non ne voglio un’altra, e glielo restituii. Per noi fu un punto di svolta, perché capimmo in modo definitivo che dalle alte gerarchie della Chiesa non avremmo mai avuto nulla. […] Noi Madri abbiamo presentato una denuncia molto dura, in Italia, contro Pio Laghi, ancora senza risposta. Sappiamo che non avremo mai giustizia dal potere, ma vogliamo che la gente capisca che la chiesa non può essere partecipe dell’orrore, della dittatura e del genocidio, perché così diventa una chiesa genocida”. (Le pazze. Un incontro con le Madres di Plaza de Mayo, Bompiani 2005, p.135)
Hebe de Bonafini ha sempre detto, e lo ripete in una nota di oggi sulla home page del sito delle Madres, che la Chiesa è l’unica madre a non chiedere giustizia per i propri figli desaparecidos, poiché a tutt’oggi non si sa nulla della fine di 150 sacerdoti scomparsi durante la dittatura.
Non si tratta di accusare o discolpare Papa Bergoglio di comportamenti criminosi, ma di vedere come le dittature comportino l’istituzione di una “zona grigia”, una complicità fatta di silenzio, indifferenza, piccole e grandi viltà. Quello che è successo in Argentina è impossibile da archiviare, ci sono prove ben documentate che le alte gerarchie ecclesiastiche discussero fino a che punto fosse lecito torturare un “sovversivo”, e il limite oltre il quale la tortura costituisse peccato. Chi era lì porta una responsabilità per il proprio silenzio e, una volta ripristinata la democrazia, per il non aver levato inequivocabili e circostanziate parole di denuncia. E’ questo che è in discussione, se ci si presenta nel nome di Francesco ad affermare di voler allargare le braccia ad accogliere gli ultimi. Ma forse, chissà, sarà proprio Papa Bergoglio a invitare le Madres, dopo tanto silenzio; sarà lui il papa che saprà dire parole di umanità e di vera assunzione di responsabilità su quegli anni. Fino ad allora, il fantasma rimosso dei desaparecidos aleggerà sul soglio pontificio.
di Daniela Padoan | 19 marzo 2013
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