Un prelato in politica
Questo papa viene già celebrato per la semplicità e per l’ostentazione del pauperismo, con aneddoti che lo vedono prendere l’autobus (come milioni di altri comuni mortali) o in photo opportunity come la lavanda dei piedi a persone gravemente malate. Ha introdotto nel suo ambito, è vero, comportamenti austeri, rifugge il lusso e si prodiga nella carità. Considerato lontano dalla curia di Roma, non è però propriamente un outsider, visto che già nel conclave del 2005 aveva ottenuto una buona fetta di voti, tanto da ritardare l’elezione di Joseph Ratzinger. Viene descritto come un tipo schivo e schietto, dalle abitudini parche, ed è molto popolare nell’Argentina colpita dal marasma economico. Anche se viene considerato un possibile innovatore della Chiesa, in realtà ha spesso manifestato sui temi etici solide posizioni conservatrici in linea con il magistero che non promettono sostanziali aperture. Ed è noto, come il nostro Angelo Bagnasco, per l’interventismo politico durante la sua presidenza della conferenza episcopale argentina tra 2005 e 2011. Nonché per le ombre su ambigui rapporti con la passata dittatura.
In questi anni l’Argentina ha dato il via a una serie di riforme laiche, come il matrimonio e le adozioni gay e la legge sul fine-vita, fortemente osteggiate dalle gerarchie ecclesiastiche locali. In particolare proprio Bergoglio, assieme ai vescovi, etichettava il matrimonio gay come “segno del demonio” e “attacco devastante ai piani di Dio”. Si era distinto per essere in prima linea nella crociata contro le nozze gay e per il pressing sul governo. Proprio nella foga della polemica politica l’allora cardinale e arcivescovo di Buenos Aires criticava nel giugno del 2007 la candidatura alle presidenziali della Kirchner e si sarebbe lasciato scappare dichiarazioni misogine. “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici”, avrebbe detto, “l’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è l’essere politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che la donna da sempre è il supporto dell’uomo che pensa e realizza, ma niente più di questo”. Posizioni medievali e vicine all’impostazione dell’integralismo islamico, che relegano la donna a un ruolo ancillare nei confronti del maschio. Bergoglio ha ribadito il no all’aborto contro l’autonomia delle donne, negli anni in cui anche in Argentina si discuteva se consentire l’interruzioni di gravidanza quantomeno per casi di stupro o malattia. Il nuovo papa aveva esplicitamente detto di non votare i candidati che difendevano la possibilità dell’aborto, come Dilma Rousseff in Brasile e la stessa Kirchner. Non mancano dichiarazioni contro l’ateismo, nel luglio del 2007.
Bergoglio e la dittatura argentina
Oltre a certe prese di posizione virulente contro i gay e la laicità che sono ordinaria amministrazione tra i prelati, destano imbarazzo i rapporti di Bergoglio con la dittatura dei militari argentini capeggiati da Jorge Rafael Videla. Difficile comunque che Bergoglio non sapesse dell’andazzo in patria, vista la sua alta posizione, tant’è che è stato contestato anche su questo da parte dell’opinione pubblica del suo paese. E considerato che sempre più evidenze mostrano come la Chiesa sapesse delle stragi di desaparecidos fin dal 1978 e, stando alla testimonianza dello stesso Videla, fornisse persino ai militari “consulenza” su come sopprimerli nella maniera più cristiana possibile senza troppi scrupoli di coscienza. Particolarmente utile per capire il quadro è il lavoro giornalistico e di inchiesta di Horacio Verbitsky, autore di libri sui legami tra Chiesa e dittatura argentina come Doppio gioco. L’Argentina cattolica e militare e L’isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina (disponibili nella biblioteca Uaar). Verbitsky ha chiamato in causa, ribadendolo sulla stampa italiana nel 2011, anche Bergoglio. Se diversi sacerdoti scomodi e dissidenti vennero ‘fatti sparire’, le alte gerarchie argentine mantennero stretti contatti con i militari al potere.
Il giovane Bergoglio, ricostruisce Verbitsky ne L’isola del silenzio e sintetizza nel 2006 Peace Reporter, divenne superiore provinciale per la Compagnia di Gesù in Argentina proprio poco prima del golpe militare. Nel febbraio del 1976 intimò a due sacerdoti attivi nelle baraccopoli di Buenos Aires, Orlando Yorio e Francisco Jalics, di lasciare quell’incarico. Li espulse dai gesuiti e fece loro togliere dall’arcivescovo allora in carica l’autorizzazione a dire messa. Fatto sta che pochi giorni dopo il colpo di stato furono rapiti e loro stessi hanno sospettato che esautorarli fosse il modo per bollarli come sovversivi agli occhi dei militari. Dopo sei mesi di prigionia e torture dentro l’Escuela de meccanica de la Armada (Esma), su pressione del Vaticano, i due preti furono rilasciati. Dal canto suo Bergoglio si difende sostenendo che la rimozione dall’incarico nelle bidonville serviva proprio per metterli in guardia rispetto all’imminente pericolo. Forse è a questi preti e a non meglio precisati altri laici salvati da Bergoglio che si riferisce Aldo Cazzullo nel 2005 nel suo articolo celebrativo: non a caso, prima che fossero pubblicate le rivelazioni di Verbitsky e si facesse nuova luce sui rapporti con i generali.
Spuntano però fuori delle carte che accrescono i sospetti su Bergoglio. Jalics nel 1979 chiede dalla Germania, dove si era poi rifugiato, il rinnovo del passaporto per non dover tornare in Argentina. Ma proprio Bergoglio avrebbe fatto finta di sostenere la sua richiesta grazie alle entrature che aveva. In realtà una nota del direttore dell’Ufficio del culto cattolico, che faceva capo al ministero degli Esteri, annota che il prete è “sovversivo” che “ha avuto problemi con i suoi superiori”. E che proprio Bergoglio — appunto, il suo superiore — ha fornito queste informazioni e raccomanda di non rinnovare il passaporto.
Un altro documento del regime chiarisce che “nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia Argentina non ha fatto pulizia al suo interno”. Dato che “gesuiti furbi” prima “rimasti in disparte” ora sarebbero in combutta con “certi vescovi terzomondisti”. Verbitsky intervista lo stesso cardinale, che cerca di ridimensionare il suo ruolo di informatore per la dittatura. Però l’altro sacerdote torturato, Yorio, intervistato nel 1999 riporta ciò che gli disse padre Gravina, segretario generale dei gesuiti, a Roma dove era fuggito. L’ambasciatore argentino presso la Santa Sede avrebbe detto a Gravina che lui e Jalics erano stati incarcerati perché i loro superiori avevano detto che uno di loro era un “guerrigliero”. E viene fuori che proprio Bergoglio era molto vicino agli estremisti di destra della Guardia di Ferro (stesso nome, tra l’altro dei nazifascisti attivi in Romania), tanto da consentirne legami con l’università dei gesuiti.
Dopo trent’anni dalla dittatura, sebbene non abbia ammesso le sue responsabilità personali, Bergoglio ha preferito una lettera apostolica conciliatoria che rievocava la tragedia e che viene interpretata come richiesta di perdono. È esagerato parlare per Bergoglio di collusione con la dittatura e di coinvolgimento diretto nei massacri e nella repressione, soprattutto rispetto ad altri prelati che occupavano posizioni più alte ed erano ben più invischiati. Ma qualche contatto si può ritenere che ci fu, visto che non era un semplice prete. D’altronde non poteva permettersi di manifestare apertamente contro il regime, sia per gli evidenti rischi, sia perché sembra fosse stato comunque vicino a certi ambienti.
Un papa conservatore tra Wojtyla e Bagnasco
L’hanno chiamato, dice, “dalla fine del mondo”, ma non ci sembra affatto la fine del mondo. I fatti esposti in precedenza sono però già stati tutti contestualizzati, minimizzati o addirittura occultati nelle reazioni a caldo, specialmente nel Belpaese. In linea con il clima dei giorni dei conclave. Già la Rai ha ordinato ai tg regionali di tenere sempre in onda l’inquadratura del comignolo vaticano da cui uscivano le fumate per le votazioni papali. Persino un gabbiano che vi si è appollaiato sopra è diventato un vip, con tanto di alone di preveggenza simil-miracolistica (tralasciamo per carità di patria sulla tendenza dei volatili ad appollaiarsi su sostegni elevati per finalità ben più terrene e financo fisiologiche, come ben sa chi ha che fare con i piccioni). Oltre alla banda dei carabinieri che ha accennato l’inno di Mameli quando il nuovo papa si è affacciato sul balcone, è da segnalare una circolare inviata dalla presidenza del Consiglio dei ministri e tramite le prefetture agli uffici pubblici per esporre la bandiera italiana e quella europea in vista dell’elezione papale e del suo insediamento.
Non sta a noi dire cosa deve fare la Chiesa. Rileviamo soltanto l’incoerenza strutturale e millenaria tra umiltà e infallibilità, povertà e Ior. L’opzione preferenziale per i poveri di Francesco (il santo) era anche della teologia della liberazione. Che è stata distrutta a livello mondiale da Ratzinger, con l’aiuto a livello locale proprio di alti prelati come Bergoglio. Senza contare che l’ondata di celebrazione mediatica potrebbe aver accostato troppo frettolosamente il nuovo papa al poverello di Assisi, ben visto anche da tanti laici. Un altro santo potrebbe piuttosto essere il riferimento: Francesco Saverio. Ovvero il gesuita — proprio come Bergoglio — e missionario spagnolo del XVI secolo.
Francesco riformerà la curia? Rendere più efficiente la macchina organizzativa della Chiesa cattolica è un tema che ci interessa quanto una ristrutturazione in un’azienda. Ci interessa invece che cambi l’atteggiamento nei confronti del mondo, visto che questo si ripercuote sulle scelte dei governi e sull’esistenza di milioni di individui che non hanno come riferimento la Chiesa. E le premesse non sono le migliori. Nemmeno Ratzinger ricorreva al demonio per demonizzare le unioni omosessuali. Si può sperare che il nuovo ruolo renda Bergoglio più “spirituale” anche nella lontananza degli afflati temporali. Che non lo riguardano.
In attesa di verificare la sua azione in concreto, resta l’impressione che sia stata compiuta una brillante azione di marketing. Un po’ come quando fu eletto Wojtyla, l’attor giovane venuto da lontano. Il cui pontificato non riuscì in alcun modo né a fermare la secolarizzazione (anzi) né a riformare la curia (anzi), né a rendere più sobria la Chiesa (anzi). Bergoglio, per attitudine popolare e le ingerenze politiche, sembra per ora un incrocio tra Wojtyla e Bagnasco in salsa latino-americana. L’abito non fa il monaco, e lo stile monacale non è necessariamente in grado di cambiare abitudini incrostatesi da secoli.