Lo sbattezzo suscita spesso ancora disagio, ostracismo, in alcuni casi persino orrore tra i credenti. Ma si tratta della semplice traduzione pratica di un diritto umano fondamentale, quello di non essere costretti a far parte di una confessione religiosa contro la propria volontà. Si parla in termini teologici di apostasia, ma molto più prosaicamente è la cancellazione degli effetti civili del battesimo e il riconoscimento formale dell’uscita dalla Chiesa. Eppure, molti cattolici non vedono altro che un attentato al battesimo. Già il termine “sbattezzo” nasce in età moderna come dispregiativo, coniato dal giornale dei vescovi per denigrare la battaglia civile di Aldo Capitini, credente che però non voleva essere considerato cattolico. Si dimentica, o non si sa proprio, che il battesimo è stata un’arma anche giuridica per coartare la libertà delle persone. Anzi, in certi casi per negarla tout-court.
"si ricorda come il battesimo abbia avuto conseguenze concrete nel corso dei secoli"
Chi pensa il contrario dovrebbe leggersi questa testimonianza che arriva, letteralmente, da un altro mondo: quello dei nativi americani. E che mette in luce quanto l’esigenza di una vita davvero libera da marchiature religiose cristiane sia presente anche in altri contesti e non sia solo una fissazione da anticlericali. Soprattutto, si ricorda come il battesimo abbia avuto conseguenze concrete nel corso dei secoli anche per legittimare il dominio politico su popolazioni non cristiane o convertite a forza, come quelle del Nord America.
Lo fa notare Steven Newcomb, tra gli animatori del portale Indian Country, legando l’espansione coloniale con la benedizione cristiana, battesimo ai nativi e legislazione statunitense. Di fatto il principio di autorità degli Stati Uniti sulle popolazioni indigene deriva dalla cristiana “dottrina della scoperta”, concetto poi fatto proprio anche dalla Corte Suprema. La discovery doctrine giustifica l’incorporazione delle terre “scoperte” dai coloni americani, nonostante fossero già abitate da popolazioni indigene considerate inferiori e non soggette in origine all’autorità di re cristiani.
Un’idea che affonda le radici nella bolla Romanus Pontifex (1455), con cui papa Nicola V concedeva al re del Portogallo, Alfonso V, il diritto di conquistare le terre scoperte in Africa per imporre il cristianesimo, strappandole a pagani, saraceni e infedeli assortiti. Con questa e successive bolle, i pontefici diedero una potente giustificazione religiosa alle mire espansionistiche dei sovrani cristiani nelle Americhe e in altre zone del mondo, alla colonizzazione futura con tanto di divisione ‘virtuale’ delle aree non ancora raggiunte dagli europei, nonché alle conversioni forzate e alla tratta degli schiavi non cristiani. Nel corso dei secoli quindi le potenze occidentali, forti anche del permesso a evangelizzare, continuarono l’espansione nella terra nullius.
Si arriva quindi al 1823, quando la Corte Suprema Usa decide sul caso Johnson v. M’Intosh. Una pietra miliare nel sancire l’autorità legale statunitense sugli indiani, cui seguiranno altre sentenze e che formalizza la discovery doctrine. Il giudice John Marshall ricorda che “il diritto della scoperta era limitato alle regioni allora sconosciute alle genti cristiane”, ovvero le zone abitate da popoli non battezzati. Da un punto di vista cristiano, quindi, in passato la sovranità poteva essere estesa su certe terre, senza che le popolazioni indigene avessero alcuna voce in capitolo e vedessero riconosciuti diritti legali per contestare tale espansione.
"croci piantate sui precedenti luoghi di culto indigeni, “sradicati” nel vero senso della parola"
L’America è stata convertita con il ferro di devoti conquistadores e dei pionieri, con il legno delle croci piantate sui precedenti luoghi di culto indigeni, “sradicati” nel vero senso della parola. Non diversamente andò ancora prima con la cristianizzazione dell’impero romano, con la sola differenza dell’uso maggiore della forza delle leggi liberticide rispetto alla spada. Quelle stesse leggi, rimasticate dalla scolastica e dal diritto canonico, contraddistinsero l’Europa medievale cristiana: a parte gli ebrei, chi non era battezzato non godeva di alcun diritto. Un obbligo di stampo totalitario, che non a caso ricorda l’iscrizione a organizzazioni come la gioventù hitleriana.
Tanto successo ebbe quell’obbligo che fu trapiantato anche Oltreoceano. Ma se già i libri di scuola non ne parlano, figuriamoci i testi apologetici. Per chi come noi sostiene l’autodeterminazione e la libertà di religione (e dalla religione), è un diritto anche aderire in modo integralista a una religione. A patto che ciò avvenga consapevolmente e non abbia effetti negativi sull’esistenza e sui diritti di altre persone che non condividono questo approccio. Il pedobattesimo odierno e le conversioni forzate del passato mostrano invece tutta un’altra storia, che può essere guidata verso un orizzonte più civile proprio dall’esercizio di quel diritto fondamentale rappresentato dallo sbattezzo. Un diritto identico a quello degli apostati islamici di convertirsi al cristianesimo senza subire la scure delle leggi anti-blasfemia, che più volte proprio noi abbiamo difeso. Se i cattolici e i cristiani in generale fossero più consapevoli di certi risvolti storici del battesimo, sarebbero anche assai meno scandalizzati dallo sbattezzo. O forse non lo sarebbero affatto.