La scienza si occupa sempre più spesso di religione e con risultati sempre più interessanti. Come abbiamo scritto due settimane fa, se siamo “nati per credere”, siamo anche “nati per non credere più“: lo studio delle radici biologiche delle nostre convinzioni è sempre più approfondito e promettente e i campi di indagine si estendono progressivamente. Un balzo in avanti scientifico dovuto soprattutto al sempre più massiccio impiego delle tecniche di neuroimaging capaci di ‘fotografare’ ciò che avviene nel cervello in determinate situazioni o in particolari stati psicologici.
Un tema su cui si indaga è quello dell’esistenza di un’anima capace di sopravvivere dopo la morte, cui crede (dati del 2009), il 70% degli statunitensi. Ne parla recentemente anche la rivista americana Skeptic, con un articolo del filosofo Stephen Cave, autore di Immortality: The quest to live forever and how it drives civilization. Cave fa il punto della situazione su quello che “dice davvero la scienza” sull’anima e cita due personaggi sulla cresta dell’onda per aver scritto libri in cui sostengono di aver vissuto la near death experience (NDE). Uno è Todd Burpo, pastore cristiano che riporta in Heaven is for real (prontamente pubblicato anche in un’edizione per bambini) ciò che gli avrebbe raccontato il figlio di quattro anni, Colton, per diversi mesi in terapia intensiva. L’altro è il dottor Eben Alexander, uno scienziato che dice di aver vissuto esperienze mistiche nel 2008 durante alcuni giorni di coma causato da una meningite. Alexander, autorevole neurochirurgo e un tempo scettico, è il ghiotto testimonial per i sostenitori delle esperienze ‘extracorporee’. Ha pubblicato verso la fine del 2012 un libro (Proof of Heaven, edito in Italia come Milioni di farfalle) e il suo caso è stato enfatizzato dai media, tanto che il settimanale Newsweek gli ha dedicato un numero.
"lesioni a certe aree del cervello danneggiano o anche distruggono aspetti della vita mentale"
Diversi ritengono che si possa dimostrare scientificamente l’esistenza di un’anima immortale totalmente indipendente dal corpo e che può persino separarsene. Ma Cave fa notare che proprio una lunghissima serie di evidenze scientifiche va in senso contrario. Con il moderno brain-imaging si scopre ad esempio che lesioni a certe aree del cervello danneggiano o anche distruggono aspetti della vita mentale di una persona. Non solo i sensi come la vista, ma persino certe capacità emotive, tendenze caratteriali o attitudini come quelle creative che vengono attribuite all’anima. Ciò viene documentato da Oliver Sacks in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello e dal neuroscienziato Antonio Damasio. Se ci fosse uno spirito incorruttibile tutto questo non dovrebbe accadere. Già san Tommaso d’Aquino rifletteva su tale controsenso cercando di trovare una spiegazione teologica.
Dobbiamo ancora capire tanto del funzionamento della nostra coscienza. “Ma tutte le evidenze ci suggeriscono che le meraviglie della mente — anche le esperienze di pre-morte o extracorporee — sono effetto dell’attivazione dei neuroni”, conclude Cave. Nonostante la credenza della maggior parte delle persone, di tutte le fedi.
Un altro contributo, l’articolo di Dale DeBakcsy della Rationalist Association inglese, analizza criticamente le NDE considerando la pubblicistica pseudo-scientifica che ha ampia diffusione. Un migliaio di storie degli ultimi decenni sono state raccolte e rilanciate da un libro come Irreducible Mind di Edward ed Emily Kelly, del 2007. Testo che intende dare una patina scientifica a certe idee e che, fa notare DeBakcsy, non si limita a raccogliere informazioni e casi, ma contesta a livello culturale l’impostazione ‘materialista’ della scienza e della psicologia odierne. Così pretende di dimostrare inequivocabilmente che esiste l’anima immateriale sostenendo che le NDE sono “troppo complesse per essere spiegate materialmente”.
Si cita un numero ridotto di studi degli ultimi trent’anni che danno una interpretazione fisica di certi fenomeni connessi alle esperienze pre-morte, ma si omette che le ricerche sono ben più ampie e pregnanti. È noto da anni che, ad esempio, la mancanza di ossigeno genera la sensazione piacevole di uscire dal corpo; l’eccesso di anidride carbonica fa vedere il tunnel con le luci nel fondo, emergere vecchi ricordi e dona una sensazione di pace e connessione con il ‘divino’. Simili sensazioni sono date da certi composti chimici che agiscono sul cervello o dalla stimolazione elettrica di determinate aree cerebrali. Anche, non a caso, da stupefacenti e droghe, sovente utilizzate in certe culture proprio per generare esperienze mistiche. Ma la conclusione degli autori è che tali spiegazioni “troppo complesse” non sarebbero in grado di far luce sulle NDE in quanto queste sarebbero “troppo complesse”.
"il cervello può esibire attività elettrica all’approssimarsi della morte anche per minuti"
Piuttosto, è fallace ritenere che certe spiegazioni fisiche siano eccessivamente complicate e che esistano, per dire, specifici neuroni che ‘attivano’ le NDE spiegandola facilmente. Qualsiasi reazione del corpo è infatti il frutto di differenti stimoli e processi, spesso intrecciati fra loro, come sanno i fisiologi. Non abbiamo prove che mostrino esperienze di questo tipo quando il cervello è clinicamente morto, ma per contro molti casi in cui fenomeni analoghi alla near death experience accadono quando questo è attivo. O in situazioni di grave rischio per la vita, come tra un infarto e la rianimazione. Inoltre, come rilevato da Lakhmir Chawla nel 2009, il cervello può esibire attività elettrica all’approssimarsi della morte anche per minuti, sebbene non sembri. Non abbiamo ancora un modello preciso per spiegare le NDE ma, nota il redattore, “la combinazione di psicologia, teoria del network neurale e biologia evolutiva sta risolvendo i piccoli enigmi uno ad uno”.
È comprensibile che per molti possa essere consolante la possibilità di ’sopravvivere’ dopo la morte e incontrare i propri cari scomparsi in un’altra dimensione. I racconti dei sopravvissuti hanno inoltre una forte carica emotiva, portano descrizioni che rispondono ad aspettative e speranze diffuse con immagini e topoi (come il paradiso, gli angeli, i defunti, il senso di beatitudine e straniamento) non a caso tipici della cultura religiosa di riferimento, alimentando questo meccanismo culturale.
Come si può notare, è difficile arrivare a risposte definitive. Ma il numero di plausibili risposte parziali è sempre più elevato. Cosa resterà dell’anima (anche di quella cristiana), alla fine di tutto? Qualcosa di decisamente impalpabile, molto probabilmente. In tutti i sensi.