Il Vaticano dei poveri è un ossimoro. Conti bancari, patrimoni immobiliari, ricchezze d’ogni genere non si cancellano per mancanza della stola d’ordinanza – quel rosso, quegli ori che Virginia Woolf dileggiava come ridicoli e tribali segni del potere maschile, e che tuttora sono lo scenario entro cui maggiormente spicca il candore della veste papale; ma non basta il candore della veste, né un’accorta immagine su un pullman o al desk di un albergo, per fare di un uomo di potere un poverello di Dio.
É di nuovo all’opera uno struggente desiderio di credere alle favole mediatiche, purché abbiano qualche appiglio simbolico e possano essere incartate in frasi fatte e slogan: la principessa triste, lady Diana, lo stesso poverello di Assisi, che ha avuto una storia, come tutti, fatta di luci e ombre, ed era molto più – e molto meno – di un’icona per santini parrocchiali.
Dunque abbiamo un Francesco in Vaticano. Non è venuto dal nulla, camminando scalzo. Era a Buenos Aires, sprezzante di tutte le figure che sono state vittime della dittatura argentina. Sembra di cattivo gusto evocare le porte chiuse in faccia alle madri e alle nonne di Plaza de Mayo, e le circostanziate testimonianze di una vicinanza a un regime che torturava gli oppositori. Ma non è concesso accantonare con un’alzata di spalle ciò che un uomo ha fatto durante una dittatura. Esistono momenti, nelle esistenze, in cui gli uomini, le donne, vengono messi alla prova; momenti in cui la vita chiede di dire chi siamo: chi ha vissuto durante una dittatura ha subito la più difficile delle prove, e non è ininfluente se si è schierato dalla parte dei persecutori o da quella delle vittime.
Non si tratta solo di rispettare e dar credito alle parole di un giornalista che, come Horacio Verbitsky, ha passato la vita a ricostruire brandello per brandello le testimonianze di quegli anni, ma di guardare l’operato, nella sua sede vescovile di Buenos Aires, di un uomo che non ha fatto mistero della propria collocazione ideale: Dio, patria, famiglia. Gli ideali della dittatura argentina. Di tutte le dittature. Dove le donne sono funzione dell’uomo: perché stupirsi di presunte frasi coerenti sulla loro subordinazione? Suonano incongrue solo se le si crede pronunciate dalla statuina fiorita di un dolce santo circondato da uccelli.
D’altra parte, il Nunzio apostolico monsignor Pio Laghi – che tre mesi dopo il golpe del 1976 benedisse i militari dicendo che l’amore per la patria si equipara all’amore per Dio – venne nominato dal Vaticano “prefetto della Congregazione per l’educazione religiosa nel mondo” e fu sul punto di diventare papa. Per non dire della benedizione di Wojtyla dal balcone di Pinochet. Per non dire di Sodano, nunzio apostolico nel Cile di Pinochet.
Più che festeggiare – come alcuni esponenti di movimenti per il Latinoamerica hanno fatto – una sorta di riconoscimento della forza di cambiamento portata da quel continente, c’è da temere che il potere vaticano abbia deciso di arginare la straordinaria esperienza di libertà di paesi che, in modi diversi, hanno sperimentato un’autonomia dal pensiero dominante. Quasi tutti i presidenti del Latinoamerica, da Mujica ai Kirchner, durante le dittature sostenute dagli Stati Uniti e come minimo ben tollerate dal Vaticano, hanno saputo dove stare: con i combattenti per la libertà, con la teologia della liberazione, con i veri san Francesco che vivevano nelle favelas con gli ultimi. Dall’altra parte, c’erano i regimi dei torturatori, dei complici e di chi non ha fatto nulla per opporvisi. Quelle stesse persone che, negli anni successivi, non hanno sentito il bisogno di una parola di verità e di abbraccio per le vittime.
di Daniela Padoan | 17 marzo 2013
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