Uno studio su Physical Review Letters descrive una tecnica per calcolare la distanza e l'età dei Quasar a partire dalle variazioni periodiche della loro luce. In questo modo si potrebbero ricostruire la struttura dell'Universo poco dopo il Big Bang.
Uno sguardo all’Universo poco dopo il Big Bang, quando era molto più piccolo di come è oggi. E’ quello che ha ottenuto un gruppo di ricercatori statunitensi e sudafricani, studiando la luce emessa dai Quasar (QUASi-StellAR radio source), tra gli oggetti più luminosi dell’Universo, probabilmente costituiti da galassie attive con al centro un buco nero supermassiccio.
Gli studiosi hanno misurato le variazioni di luminosità, nel corso di centinaia di giorni, di 14 quasar di cui è noto il redshift: lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali dovuto all’effetto Doppler, che è quindi una misura indiretta della distanza di questi oggetti e della velocità a cui si allontantano da noi. Gli studiosi si sono accorti che l’andamento della variazione della loro luce, una volta fatte le correzioni dovute ai diversi redshift, era uguale per tutti i Quasar analizzati. “È come se ci fosse un regolatore di luce su di loro, con qualcuno che lo gira a sinistra e poi a destra” ha detto Glenn Starkman, professore di Fisica alla Case Western Reserve University, in Ohio, e autore dello studio, pubblicato quest’estate su Physical Review Letters. “La tendenza generale era sorprendentemente uguale per tutti i quasar”.
A questo punto, la tecnica permette di misurare il redhift (e la distanza) di altri Quasar. Misurando la velocità con cui la luce di un quasar sembra variare e confrontandola al ritmo di variazione “standard” trovato in questi 14 oggetti campiom, è possibile dedurre il suo redshift. Conoscere questa misura consente agli scienziati di calcolare la dimensione relativa che aveva l’Universo da quando la luce dei quasar è stata emessa rispetto ad oggi. Più grande è il redshift, più lontana e vecchia è la sorgente luminosa: “Se potessimo misurare i redshift di milioni di quasar, li potremmo usare per mappare le strutture dell’Universo fino a grandissime distanze” continua Starkman.
Gli astronomi hanno da sempre utilizzato le variazioni di luce di supernovae per misurare l’espansione dell’Universo. Questo gruppo di stelle ha un redshift fino a 1,7 e questo valore equivarrebbe a quando l’Universo era 2,7 volte più piccolo di oggi.
I quasar, invece, sono più vecchi e più lontani, e sono stati misurati con un redshift fino a 7.1, il che significa che hanno emesso la luce che stiamo vedendo quando l’Universo era 1/8 della dimensione attuale.
Se questo metodo risulterà applicabile anche a valori più elevati di redshift, gli scienziati potrebbero avere milioni di marcatori per tracciare l’espansione dell’Universo a grandi distanze e nelle sue prima fasi di vita.
http://www.media.inaf.it/2012/09/19/un-viaggio-nel-tempo-grazie-ai-quasar/
Gli studiosi hanno misurato le variazioni di luminosità, nel corso di centinaia di giorni, di 14 quasar di cui è noto il redshift: lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali dovuto all’effetto Doppler, che è quindi una misura indiretta della distanza di questi oggetti e della velocità a cui si allontantano da noi. Gli studiosi si sono accorti che l’andamento della variazione della loro luce, una volta fatte le correzioni dovute ai diversi redshift, era uguale per tutti i Quasar analizzati. “È come se ci fosse un regolatore di luce su di loro, con qualcuno che lo gira a sinistra e poi a destra” ha detto Glenn Starkman, professore di Fisica alla Case Western Reserve University, in Ohio, e autore dello studio, pubblicato quest’estate su Physical Review Letters. “La tendenza generale era sorprendentemente uguale per tutti i quasar”.
A questo punto, la tecnica permette di misurare il redhift (e la distanza) di altri Quasar. Misurando la velocità con cui la luce di un quasar sembra variare e confrontandola al ritmo di variazione “standard” trovato in questi 14 oggetti campiom, è possibile dedurre il suo redshift. Conoscere questa misura consente agli scienziati di calcolare la dimensione relativa che aveva l’Universo da quando la luce dei quasar è stata emessa rispetto ad oggi. Più grande è il redshift, più lontana e vecchia è la sorgente luminosa: “Se potessimo misurare i redshift di milioni di quasar, li potremmo usare per mappare le strutture dell’Universo fino a grandissime distanze” continua Starkman.
Gli astronomi hanno da sempre utilizzato le variazioni di luce di supernovae per misurare l’espansione dell’Universo. Questo gruppo di stelle ha un redshift fino a 1,7 e questo valore equivarrebbe a quando l’Universo era 2,7 volte più piccolo di oggi.
I quasar, invece, sono più vecchi e più lontani, e sono stati misurati con un redshift fino a 7.1, il che significa che hanno emesso la luce che stiamo vedendo quando l’Universo era 1/8 della dimensione attuale.
Se questo metodo risulterà applicabile anche a valori più elevati di redshift, gli scienziati potrebbero avere milioni di marcatori per tracciare l’espansione dell’Universo a grandi distanze e nelle sue prima fasi di vita.
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