L’universo ci sta abituando all’esistenza di fenomeni astrofisici dall’energia spaventosa: le supernove, le stelle di neutroni, i buchi neri, i potentissimi lampi gamma. Questi ultimi, in particolare, hanno più di un aspetto in comune con le misteriosi sorgenti radio individuate negli ultimi anni ai confini dell’universo. Battezzati FRB, fast radio burst, ossia “rapidi lampi radio”, tali fenomeni durano pochi millesimi di secondo, meno di un battito di ciglia, ma sprigionano un’energia incredibile, pari a quella che l’intero nostro Sole emetterebbe nell’arco di trecentomila anni. Il primo di essi è stato scoperto per caso nel 2007 da Duncan Lorimer dell’Università della West Virginia (per questo sono anche chiamati “lampi di Lorimer”), lasciando gli scienziati letteralmente a bocca aperta. Dopo aver scartato l’ipotesi di un’origine terrestre, ora un articolo pubblicato su Science riassume l’esito di una ricerca condotta da un team internazionale guidato Dan Thornton, dell’Università di Manchester, che si è avvalso del radiotelescopio austriaco Parkes del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization. Il team ha finora individuato altri quattro lampi radio, ma sospetta che ne avvengano continuamente nell’universo, fino a uno ogni secondo. Sulla loro origine, tuttavia, resta il mistero.
Origine: sconosciuta
Una cosa è certa: nessuno di questi lampi proviene dalla nostra galassia. Per scoprirlo, gli scienziati hanno studiato il modo in cui l’emissione radio ha interagito con il materiale interstellare che ha attraversato nel corso del suo viaggio. Viaggiando nello spazio, le onde radio vengono allungate e rallentate dal materiale ionizzato che attraversano. In questo modo è stato possibile scoprire che i lampi provengono da fonti sconosciute a una distanza tra i 6 e gli 8 miliardi di anni-luce: quasi ai confini dell’universo, dunque, considerando che il Big Bang ha avuto luogo 13,8 miliardi di anni fa. Per inciso, questa tecnica potrebbe trasformare i lampi radio in un utile strumento per indagare la composizione dell’universo.
Al momento, tuttavia, l’interesse principale degli scienziati consiste nello scoprire cosa produca questi fenomeni così violenti. Il team di ricercatori non fornisce una spiegazione, ma avanza qualche teoria. Come nel caso dei GRB, i gamma-ray burst, che avvengono anch’essi ai confini dell’universo, gli FRB potrebbero essere il prodotto di fenomeni esotici come l’esplosione finale di una supernova che si trasforma in buco nero. Tuttavia, in questo caso, l’emissione radio dovrebbe essere accompagnata da un lampo gamma o da un lampo di luce. Due astrofisici, tra cui l’italiano Luciano Rezzolla (oggi all’Albert Einstein Institute di Potsdam, in Germania), ipotizzano che gli FRB possano essere il prodotto del collasso di una stella di grande massa in una stella di neutroni a rotazione ultra-veloce, che a successivamente rallenta e subisce un ulteriore collasso in un buco nero. Quest’ultima fase produrrebbe il lampo radio, che gli astrofisici hanno battezzato “blitzar”.
In attesa di nuovi radiotelescopi
Si attendono ora nuove pubblicazioni sulla base delle considerazioni che i fisici teorici faranno analizzando i dati individuati dal team. Nel frattempo si cercheranno nuovi lampi radio nel cielo. Il problema non è la loro energia, più che sufficiente da attirare l’attenzione degli astrofisici, quanto la loro durata infinitesimale, che li rende molto difficili da individuare. La nuova generazione di radiotelescopi potrebbe riversi un utile strumento. Il potentissimo Square Kilometer Array (SKA), che sarà costruito tra Sudafrica e Australia e consisterà in una gigantesca serie di dischi per l’osservazione del cielo australe nella banda radio, servirà senz’altro allo scopo. Anche l’Italia darà un contributo significativo: “Per discriminare il vero responsabile sarà necessario in primis aumentare di molto il numero di eventi osservati. In secondo luogo identificare questi lampi radio quasi in tempo reale, così da permettere l’individuazione di possibili emissioni transitorie in altre bande dello spettro elettromagnetico”, spiega Nicolò D’Amico dell’Università di Cagliari, che dirige il progetto del Sardinia Radio Telescope dell’INAF. Un telescopio che, sottolinea, “reciterà in entrambi i casi un ruolo di primo piano internazionale”.
Tra le altre ipotesi, Dan Thornton – primo autore della pubblicazione su Science – propone le “magnetar”, un particolare tipo di stella di neutroni che produce intensi campi elettromagnetici. Le magnetar sono piuttosto rare, ma ne sono state scoperte a distanze molto ridotte, nell’ordine di poche migliaia o decine di migliaia di anni luce, rispetto alle sorgenti dei lampi radio. Quello che stupisce gli astrofisici è soprattutto la possibilità che gli FRB siano davvero comuni nell’universo. Come spiega al Media Inaf il direttore dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari, Andrea Possenti, che ha partecipato alla ricerca internazionale, “dal fatto che abbiamo registrato quattro eventi stimiamo che devono verificarsi circa 10.000 lampi radio al giorno in tutto il cielo, come dire un lampo radio ogni dieci secondi”. Molto più della frequenza dei lampi gamma, “oltre 1.000 volte maggiore”. Un nuovo mistero, insomma, che non mancherà di appassionare gli scienziati e che ci dimostra ancora una volta che l’universo ha ancora molti segreti da svelare.