Un nuovo orizzonte per la fecondazione assistita si apre, portando con sé un fiocco azzurro: lo scorso 18 maggio è venuto alla luce il piccolo Connor Levy, figlio di una coppia di Philadelphia che aveva ricorso alla fertilizzazione in vitro (IVF). La sua nascita è stata annunciata pubblicamente a Londra in occasione del congresso della European Society of Human Reproduction and Embryology poiché costituisce un grande traguardo nell’ambito delle tecniche di diagnostica pre-impianto: il DNA di Connor, infatti, è stato sottoposto ad analisi completa ricorrendo ad una tecnica di ultima generazione che premette di ottenere risultati soddisfacenti con un notevole risparmio in termini economici e di tempo.
Si chiama “Next generation sequencing” (NGS) e consente di delineare in appena 24 ore un quadro completo di tutte le anomalie genetiche a carico dell’embrione, sia quelle che riguardano i singoli geni, sia le alterazioni nel numero di cromosomi; la precisione e la rapidità del test passa al setaccio anche eventuali anomalie nel DNA mitocondriale, ereditario per linea materna. Impiegata per la prima volta nell’ambito della diagnosi pre-impianto, la NGS era già guardata con interesse dagli scienziati per le sue grandi potenzialità ed utilizzata nei laboratori: tale tipologia di sequenziamento fornisce, infatti, «una visione senza precedenti della biologia degli embrioni», come affermato dal professor Dagan Wells della Oxford University, “pioniere” di questo tipo di studi e a capo del gruppo internazionale che ha seguito i coniugi Levy e il loro embrione in vitro. La tecnica è in grado di individuare non soltanto la possibilità di gravi malattie ereditarie ma anche di rilevare eventuali irregolarità cromosomiche che, come è noto, aumentano con l’avanzare dell’età: se per una donna di vent’anni un embrione su dieci può presentare anomalie nel numero di cromosomi, tale rapporto può salire fino al 75% una volta superata la soglia dei quarant’anni.
Wells e il suo team avevano già precedentemente verificato l’affidabilità della tecnica su 45 embrioni portatori di anomalie genetiche: i risultati soddisfacenti hanno suggerito agli studiosi la possibilità di provare la tecnica ricorrendo ad embrioni al quinto giorno di sviluppo, prodotti da due coppie che avevano fatto ricorso alla IVF. Selezionando ed impiantandone uno solo per coppia, l’embrione ha attecchito in entrambi i casi, dando inizio a due normali gravidanze, la prima delle quali già andata a buon fine con la nascita del piccolo Connor, il quale gode di ottima salute. Quel che potrebbe rendere rivoluzionaria tale innovativa tecnica di sequenziamento, se applicata alla fertilizzazione in vitro, è la sua capacità di aiutare ad identificare l’embrione con maggiori possibilità di dar vita ad una gravidanza regolare, abbassando il rischio di aborti spontanei e migliorando la fecondazione assistita nel complesso, anche attraverso il superamento del problema dei parti gemellari.
Con un risparmio di circa 2/3000 sterline – questo il costo di un regolare screening genetico pre-impianto nel Regno Unito, che per i Levy sarebbe costato oltre 4000 sterline in Pennsylvania – la tecnica promette di migliorare il tasso di successo della IVF che oggi si attesta intorno al 30%, velocizzando i tempi e, soprattutto, alleggerendo il carico emotivo che un percorso complesso come quella della fecondazione assistita richiede. Marybeth Scheidts, 36 anni, e suo marito David Levy, 41, ad esempio, hanno provato a concepire naturalmente per quattro anni, prima di ricorrere ad un primo trattamento chiamato inseminazione intrauterina: tre tentativi rivelatisi fallimentari hanno spinto la coppia a rivolgersi alla fertilizzazione in vitro. La NGS a cui sono stati sottoposti i 13 embrioni prodotti ha rilevato che erano tutti sani: ciononostante, senza lo screening, riuscire a selezionare il giusto embrione da impiantare sarebbe stata solo una questione di fortuna. Il successo al primo tentativo è un risultato eccellente per la NGS che, tuttavia, necessiterà di ulteriori trials, più ampi questa volta, per confermare la sua effettiva funzionalità.
Non manca chi fa osservare come questa tecnica presenterebbe controversie di natura etica, poiché in grado di fornire un numero elevato di informazioni che va ben oltre quelle necessarie alla diagnosi pre-impianto: il fatto che dei genitori possano essere a conoscenza di geni nella propria prole che predispongono all’Alzheimer, al diabete o addirittura ad alcune forme di tumore, comporterebbe non pochi problemi di natura psicologica. Per questa ragione, osserva Michael Glassner che ha seguito la coppia presso la Main Line Fertility clinic «Dobbiamo essere essere sicuri che sia usata con giudizio». E considerando che con la IFV si possono ottenere poco più di una dozzina di embrioni, le prospettive terrificanti eugenetiche di potenziali “modellatori di bambini” sono ancora ben lungi dall’essere una possibile realtà.
di Nadia Vitali
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