Piccola ma tenace la sedicenne Malala Yousufzai, divenuta simbolo della lotta delle ragazze per l’accesso a scuola contro lo strapotere dei talebani. Nel 2009 racconta in un diario per la BBC la sua vita difficile sotto le milizie islamiste che controllano la zona del Pakistan in cui vive. Nell’ottobre del 2012 i talebani le sparano alla testa mentre è sul pulmino della scuola. È ferita gravemente, ma sopravvive e viene curata poi in Gran Bretagna. Si è ristabilita, è stata candidata al Nobel per la pace e venerdì scorso, giorno del suo compleanno, ha tenuto un coinvolgente discorso a New York, in occasione dell’Assemblea dei giovanni dell’Onu, in cui ha rivendicato il diritto all’istruzione per tutti i bambini del mondo.
L’attentato degli integralisti religiosi contro una bambina si è rivelato però un boomerang: “Mi hanno sparato, hanno sparato anche alle mie amiche. Credevano che quel proiettile ci avrebbe zittito. Ma hanno fallito. Dal silenzio, migliaia di voci si sono sollevate. Quello che hanno ottenuto? La debolezza, la paura, l’impotenza sono morte. La forza, il potere, il coraggio sono emersi”. “Sono qui per parlare del diritto all’istruzione per tutti. Voglio istruzione anche per i figli e le figlie dei talebani”, ha aggiunto, “prendete i vostri libri e le vostre penne, sono la vostra arma più potente. Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo”. I “talebani” — che a suo dire “abusano del nome dell’islam” perché questa è “una religione di pace” — “hanno paura dell’istruzione, hanno paura del potere delle donne”. Probabilmente la ragazza è stata aiutata da qualcuno nella stesura, ma resta un bel discorso.
Oggi Stefano Rodotà su Repubblica fa notare che nelle parole di Malala non c’è solo opposizione al terrorismo e orgoglio, ma soprattutto “una indicazione politica precisa: il diritto all’istruzione è l’arma più potente, e per ciò più temuta, nella lotta al terrorismo”. Assecondare la domanda di diritti a livello globale diventa un mezzo concreto e dagli effetti profondi a livello sociale e culturale, molto più efficace della risposta militare. Non è di certo, come vorrebbero alcuni, una “estrema frontiera dell’individualizzazione”, ma il segno di un fermento che coinvolge tante realtà e movimenti in tutto il mondo e che chiede risposte dalla politica.
Certo, nel discorso di Malala vi sono anche riferimenti a Dio, Maometto, Gesù, Buddha e alle preghiere. Ma noi non siamo talebani. Sono i talebani che hanno subito una solenne lezione. E con loro, tutti gli integralisti religiosi che vogliono impedire che le donne siano istruite e comincino a ragione con la propria testa, a impegnarsi per vedersi riconosciuti diritti, autodeterminazione e dignità in società rette da tradizionalismo e patriarcato. Come le opere dell’antiateo Voltaire, il discorso di Malala apre comunque dei varchi nel dogma e contro lo strapotere del confessionalismo. E per questo merita di essere letto e diffuso.