Non è facile in diverse parti del mondo. In India la violenza domestica non è reato, in Canada il 27 per cento ha subito violenza dal proprio partner. Mentre in Argentina si lotta contro la tratta del sesso, in Irlanda abortire diventa una impresa
Si suicidano, mentre vengono uccise dal loro destino e dalla loro “cultura”. Così fa una vedova indiana, nel Satī, quando decide di farsi dare (illegalmente) fuoco sotto la pira funeraria del marito. O una ragazza di appena 18 anni, promessa sposa afghana da 9, che opta per una fucilata nel cuore, piuttosto che nelle mani di un perfetto sconosciuto. Sono queste le violenze, le uccisioni, le condanne che vivono le donne nel mondo. A volte inconsapevolmente a volte in un gesto estremo di ribellione, mentre cercano di cambiare il loro ruolo nel mondo. Secondo un rapporto dell’UNIFEM, il Fondo ONU di sviluppo per le donne, “la violenza sulle donne è probabilmente la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, oltraggio che devasta vite, disgrega comunità e ostacola lo sviluppo”, ed “è un problema di proporzioni pandemiche”. Oltre 100 paesi nel mondo sono privi di una legislazione specifica contro la violenza domestica, ed oltre il 70 % delle donne nel mondo sono state vittime nel corso della propria vita di violenza fisica o sessuale da parte di uomini.
NUMERI - Stando a uno degli ultimi rapporti Unicef, in Canada il 29 per cento delle donne ha denunciato di essere stata aggredita dall’attuale o dall’ex partner. negli Stati Uniti il 28 per cento hanno almeno subito una violenza domestica. Quasi 130 milioni di donne in tutto il mondo vengono sottoposte alla pratica della mutilazione genitale femminile. Circa 60 milioni di loro spariscono dalle statistiche demografiche, uccise deliberatamente o per negligenza, soltanto perché di sesso femminile e “debole”. Non bisogna insomma, per forza trovarsi in Ciudad de Juarez, Messico, diventata tristemente famosa per le 4.500 donne scomparse e oltre 400 omicidi perpetrati ai danni di giovani femmine. Posto diventato la genesi del “femminicidio”, dove le vittime sono di umile estrazione sociale, di corporatura simile e impiegate nelle numerose maquiladoras.
CULTURA – In Afganistan, Burkina Faso, Nepal, Nigeria, Mali e Yemen, circa tre quarti delle ragazze non hanno completato il percorso scolastico base; in Bangladesh, Marocco, Guinea e Senegal sono la metà. In Bangladesh, però, grazie alle scuole pilota finanziate dall’UNICEF, e altre associazioni come Action Aid (operativa in Ghana) è possibile garantire i primi anni di scuola. Secondo il diktat talebano vige il divieto completo per le donne di lavorare fuori di casa, il che vale anche per insegnanti , ingegneri e la maggior parte dei professionisti. Solo alcune donne medico e infermiere hanno il permesso di lavorare in alcuni ospedali a Kabul.
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VESTITI – In Swaziland, Sud Africa, esiste un divieto per abiti giudicati “pericolosi” come le minigonne poiché “facilitano lo stupro”. La legge è del 1889, ma ripresa dalle autorità locali è tornata in auge. Il divieto non vale per le danze annuali in onore del re Mswati III, in cui ogni anno sceglie una moglie e quindi ha bisogno di vedere il corpo per intero. Frustate in pubblico per le donne che non hanno le caviglie coperte, divieto per le donne di andare in bicicletta o motocicletta, modifica di tutti i nomi di luogo che includono la parola ‘donna’. Per esempio, i ‘giardini per donne’ sono stati chiamati ‘giardini di primavera’. Queste sono le misure dei talebani denunciate dall’Associazione Rivoluzionaria delle donne dell’Afghanistan (RAWA).
CORPO – Sono circa 6mila le irlandesi che ogni anno lasciano il loro paese per recarsi nel Regno Unito o in Olanda e Belgio per poter abortire in modo legale. La corte suprema aveva già dato il suo ok all’aborto in caso di rischi per la madre nel 1992 ma il governo non ha mai affrontato la questione. Infatti al giorno d’oggi nel paese si muore per banale setticemia, come Savita Halappanavar, morta perché nel paese cattolico si è rifiutato di procedere con l’operazione di aborto terapeutico. Mentre invece in Argentina si approvano leggi contro la tratta sessuale delle donne, in India dopo l’ennesimo stupro ancora si trova fatica a trovare una soluzione. A New Delhi sono ben 582 gli abusi denunciati in città nell’ultimo anno. L’ultimo di questi ha fatto sfociare nel paese una ondata di proteste per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere leggi più severe contro i violentatori. Nella terra di Mahatma Gandhi, la violenza contro le donne è aumentata del 25% negli ultimi sei anni. La condanna massima per violenza sessuale è di 10 anni, fino a 16 anni per la violenza di gruppo. Ma solo il 25% dei processi finisce con una condanna. Secondo i dati raccolti dalla “Archives of pediatric and adolescent medicine” almeno un milione e 200mila bambine sono morte entro i sei mesi di vita negli anni che vanno dal 1985 al 2005. E la violenza continua tra le mura domestiche, dove nemmeno il giudice condanna come violenza lo stupro verso la propria moglie. In Repubblica Domenicana, nel 2010 sono stati denunciati 62 mila casi di violenza contro le donne, ma appena il 4% delle denunce si è trasformato in processo.
UNIONI – Quello dei matrimoni e delle gravidanze precoci è un altro grave problema. In Bangladesh il 72% delle ragazzine tra i 15 e i 19 anni sono già sposate e il rischio di morire nella gravidanza è più alto. In Afghanistan vieni promessa a nove anni. L’unica soluzione è il suicidio. Così Nasreen, 18 anni, di Kunduz, ha scelto la sua fuga: un fucile da caccia e un colpo, uccidendosi. Ci provò Fatima, 17 anni ma fu salvata per miracolo. E per farsi annullare il fidanzamento ha dovuto affrontare il tribunale dove la sharia prevede almeno cinque testimoni a favore, maschi ovvio. Le donne afghane si confessano mascherate in un programma shock, un reality, trasmesso dalla televisione di Kabul.
ATTI – La maggior parte delle convenzioni internazionali riconosce di fatto agli Stati la discrezionalità di decidere sulle garanzie da far riconoscere ad ogni singolo paese. Uno degli accordi più specifici sui diritti delle donne è la Convenzione per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le donne (CEDAW). La CEDAW, approvata dalle Nazioni Unite nel 1979, è stata ratificata dall’Italia nel 1985 (Legge 132/85), ma non ha ancora una traduzione ufficiale in lingua italiana.
IL RAPPORTO – Nel giugno 2012 è stato presentato il primo Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere, redatto dall’Onu. Una analisi dove Special Rapporteur dell’ONU Rashida Manjoo ha analizzato anche il nostro paese: “Il femmicidio è l’estrema conseguenza delle forme di violenza esistenti contro le donne. Queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine ad una serie di violenze continuative nel tempo”. Il Comitato per l’attuazione della Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne aveva chiesto a vari Stati, tra cui al Messico ed all’Italia (unico Paese europeo, nel 2011), di adottare misure specifiche per omicidi e casi di violenza soprattutto domestica. Manjoo ha precisato che “a livello mondiale, la diffusione degli omicidi basati sul genere, nelle loro diverse manifestazioni, ha assunto proporzioni allarmanti” e che “culturalmente e socialmente radicati, continuano ad essere accettati, tollerati e giustificati”. Non mancano parole di critica contro i sinonimoi usati per descrivere il fenomeno come per esempio “delitto passionale” nel mondo occidentale. Gli omicidi sul genere non hanno una loro linearità di tratti. Anzi, a livello globale si manifestano in forme diverse tra loro. E sopratutto: “Non si tratta di incidenti isolati che accadono all’improvviso, inaspettati, ma rappresentano piuttosto l’ultimo atto si un continuum di violenza”.
http://www.giornalettismo.com/archives/679531/essere-donna-nel-2013/