mercoledì 15 maggio 2013

Indonesia, se il premio per la tolleranza viene assegnato a un liberticida

yudhoyono
Già l’as­se­gna­zio­ne dei premi Nobel per la pace è spesso motivo di cri­ti­ca, spe­cial­men­te quando fi­ni­sce a uomini con un pas­sa­to di vio­len­za. In questi casi, la giu­sti­fi­ca­zio­ne che viene ad­dot­ta è che il ri­co­no­sci­men­to va anche a chi sa su­pe­ra­re i con­flit­ti del pas­sa­to per creare le pre­mes­se di future con­vi­ven­ze pa­ci­fi­che. Ma cosa dire, quando un premio del genere fi­ni­sce a un uomo che con­ti­nua, per­vi­ca­ce­men­te, a co­strui­re una so­cie­tà di­vi­si­va?
 
L’e­pi­so­dio che rac­con­tia­mo è istrut­ti­vo di come il clima di dia­lo­go in­ter­re­li­gio­so tra le grandi re­li­gio­ni porti spesso a di­men­ti­ca­re le istan­ze dei non cre­den­ti, fa­vo­ren­do­ne ta­ci­ta­men­te la di­scri­mi­na­zio­ne. In par­ti­co­la­re, ciò av­vie­ne al­l’om­bra di grandi ker­mes­se che vedono la pre­sen­za di au­to­re­vo­li isti­tu­zio­ni, dove si invoca la tol­le­ran­za e la pace (solo) tra re­li­gio­ni. Di re­cen­te la Appeal of Con­scien­ce Foun­da­tion, or­ga­niz­za­zio­ne sta­tu­ni­ten­se im­pe­gna­ta nella difesa della li­ber­tà re­li­gio­sa e dei di­rit­ti umani fon­da­ta dal rab­bi­no Arthur Sch­neier, ha as­se­gna­to l’an­nua­le World Sta­te­smen Award al pre­si­den­te in­do­ne­sia­no Susilo Bam­bang Yu­d­hoyo­no.
"i di­rit­ti umani non sono molto tu­te­la­ti in In­do­ne­sia, anche a causa del las­si­smo del pre­si­den­te"
Una scelta con­te­sta­ta dalle or­ga­niz­za­zio­ni che tu­te­la­no i non cre­den­ti nel mondo: hanno fatto notare che i di­rit­ti umani non sono molto tu­te­la­ti in In­do­ne­sia, anche a causa del las­si­smo del pre­si­den­te. Sul fronte re­li­gio­so, in di­ver­si stati del­l’In­do­ne­sia viene im­po­sta la sharia, pure con pu­ni­zio­ni cor­po­ra­li contro chi è ac­cu­sa­to di as­su­me­re com­por­ta­men­ti giu­di­ca­ti im­mo­ra­li e bla­sfe­mi (come donne in mi­ni­gon­na o punk). Per­si­no un gruppo di ra­gaz­zi­ne ri­schia l’in­cri­mi­na­zio­ne per aver con­di­vi­so su You­Tu­be un video scher­zo­so in cui si pa­ro­dia­va la pre­ghie­ra isla­mi­ca.
 
Anche gli atei su­bi­sco­no una pe­san­te re­pres­sio­ne in nome del­l’i­slam, come di­mo­stra il caso di Ale­xan­der Aan, un gio­va­ne fun­zio­na­rio ar­re­sta­to per aver espres­so su Fa­ce­book le sue cri­ti­che alla re­li­gio­ne. Le di­sav­ven­tu­re di Aan hanno avuto ri­so­nan­za in­ter­na­zio­na­le, tanto da essere de­nun­cia­te anche da Human Rights Watch, che ha cri­ti­ca­to pro­prio il pre­si­den­te Yu­d­hoyo­no per essere stato “nel mi­glio­re dei casi inaf­fi­da­bi­le nel di­fen­de­re il di­rit­to alla li­ber­tà re­li­gio­sa”. Anzi, gli stan­dard di tutela dei di­rit­ti umani pro­prio sotto questo pre­si­den­te vanno peg­gio­ran­do, come ri­scon­tra­to con pre­oc­cu­pa­zio­ne anche dal­l’Al­to Com­mis­sa­rio per i di­rit­ti umani del­l’O­nu, Navi Pillay.

Il report Free­dom of Thought 2012 ha messo in evi­den­za come in In­do­ne­sia ci siano pe­san­ti vio­la­zio­ni della li­ber­tà di pen­sie­ro, in quanto ven­go­no ri­co­no­sciu­te uf­fi­cial­men­te solo sei re­li­gio­ni (islam, cat­to­li­ce­si­mo, pro­te­stan­te­si­mo, con­fu­cia­ne­si­mo, bud­d­hi­smo e in­dui­smo) e le leggi contro la bla­sfe­mia ren­do­no il­le­ga­le la pro­pa­gan­da di fedi di­ver­se, del­l’a­gno­sti­ci­smo o del­l’a­tei­smo. I cit­ta­di­ni in­do­ne­sia­ni devono inol­tre ade­ri­re ne­ces­sa­ria­men­te a una delle re­li­gio­ni ri­co­no­sciu­te, al­tri­men­ti su­bi­sco­no pe­san­ti di­scri­mi­na­zio­ni, e giu­ra­re fe­del­tà al­l’i­deo­lo­gia di stato (Pan­ca­si­la) di cui uno dei prin­ci­pi è la fede in un dio unico.
"tutte le con­fes­sio­ni re­li­gio­se ten­do­no a farsi pro­teg­ge­re dalle cri­ti­che"
L’Iheu, la fe­de­ra­zio­ne in­ter­na­zio­na­le che rag­grup­pa le as­so­cia­zio­ni atee e se­co­la­ri­ste di tutto il mondo, tra cui l’Uaar, ha chie­sto di ri­con­si­de­ra­re il premio as­se­gna­to al pre­si­den­te in­do­ne­sia­no. La vi­cen­da mostra come la ri­chie­sta di li­ber­tà re­li­gio­sa si tra­sfor­mi spesso in ri­chie­sta di trat­ta­men­ti pri­vi­le­gia­ti per sé e pu­ni­ti­vi per chi osa anche solo met­te­re in di­scus­sio­ne la fede. E tutte le con­fes­sio­ni re­li­gio­se ten­do­no a farsi pro­teg­ge­re dalle cri­ti­che, chi più e chi meno, anche in sede in­ter­na­zio­na­le. Per questo motivo non stu­pi­sce l’as­se­gna­zio­ne del ri­co­no­sci­men­to a un uomo così im­pe­gna­to a tu­te­la­re il sacro. Della li­ber­tà di espres­sio­ne, ai leader re­li­gio­si, im­por­ta assai poco, e della li­ber­tà di non cre­de­re quasi nulla.