Già l’assegnazione dei premi Nobel per la pace è spesso motivo di critica, specialmente quando finisce a uomini con un passato di violenza. In questi casi, la giustificazione che viene addotta è che il riconoscimento va anche a chi sa superare i conflitti del passato per creare le premesse di future convivenze pacifiche. Ma cosa dire, quando un premio del genere finisce a un uomo che continua, pervicacemente, a costruire una società divisiva?
L’episodio che raccontiamo è istruttivo di come il clima di dialogo interreligioso tra le grandi religioni porti spesso a dimenticare le istanze dei non credenti, favorendone tacitamente la discriminazione. In particolare, ciò avviene all’ombra di grandi kermesse che vedono la presenza di autorevoli istituzioni, dove si invoca la tolleranza e la pace (solo) tra religioni. Di recente la Appeal of Conscience Foundation, organizzazione statunitense impegnata nella difesa della libertà religiosa e dei diritti umani fondata dal rabbino Arthur Schneier, ha assegnato l’annuale World Statesmen Award al presidente indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono.
"i diritti umani non sono molto tutelati in Indonesia, anche a causa del lassismo del presidente"
Una scelta contestata dalle organizzazioni che tutelano i non credenti nel mondo: hanno fatto notare che i diritti umani non sono molto tutelati in Indonesia, anche a causa del lassismo del presidente. Sul fronte religioso, in diversi stati dell’Indonesia viene imposta la sharia, pure con punizioni corporali contro chi è accusato di assumere comportamenti giudicati immorali e blasfemi (come donne in minigonna o punk). Persino un gruppo di ragazzine rischia l’incriminazione per aver condiviso su YouTube un video scherzoso in cui si parodiava la preghiera islamica.
Anche gli atei subiscono una pesante repressione in nome dell’islam, come dimostra il caso di Alexander Aan, un giovane funzionario arrestato per aver espresso su Facebook le sue critiche alla religione. Le disavventure di Aan hanno avuto risonanza internazionale, tanto da essere denunciate anche da Human Rights Watch, che ha criticato proprio il presidente Yudhoyono per essere stato “nel migliore dei casi inaffidabile nel difendere il diritto alla libertà religiosa”. Anzi, gli standard di tutela dei diritti umani proprio sotto questo presidente vanno peggiorando, come riscontrato con preoccupazione anche dall’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu, Navi Pillay.
Il report Freedom of Thought 2012 ha messo in evidenza come in Indonesia ci siano pesanti violazioni della libertà di pensiero, in quanto vengono riconosciute ufficialmente solo sei religioni (islam, cattolicesimo, protestantesimo, confucianesimo, buddhismo e induismo) e le leggi contro la blasfemia rendono illegale la propaganda di fedi diverse, dell’agnosticismo o dell’ateismo. I cittadini indonesiani devono inoltre aderire necessariamente a una delle religioni riconosciute, altrimenti subiscono pesanti discriminazioni, e giurare fedeltà all’ideologia di stato (Pancasila) di cui uno dei principi è la fede in un dio unico.
"tutte le confessioni religiose tendono a farsi proteggere dalle critiche"
L’Iheu, la federazione internazionale che raggruppa le associazioni atee e secolariste di tutto il mondo, tra cui l’Uaar, ha chiesto di riconsiderare il premio assegnato al presidente indonesiano. La vicenda mostra come la richiesta di libertà religiosa si trasformi spesso in richiesta di trattamenti privilegiati per sé e punitivi per chi osa anche solo mettere in discussione la fede. E tutte le confessioni religiose tendono a farsi proteggere dalle critiche, chi più e chi meno, anche in sede internazionale. Per questo motivo non stupisce l’assegnazione del riconoscimento a un uomo così impegnato a tutelare il sacro. Della libertà di espressione, ai leader religiosi, importa assai poco, e della libertà di non credere quasi nulla.