L’approvazione della convenzione di Istanbul è, a suo modo, un titolo di merito per la Camera dei deputati italiani, tra le prime a vagliarla. Senz’altro meno degne di applausi sono le tante assenze da parte degli onorevoli, durante il dibattito e al momento del voto. Prendiamo tuttavia atto che, in un momento in cui le cronache si riempiono di notizie di orribili violenze crimini sulle donne, un segnale è stato dato.
La convenzione del Consiglio d’Europa, siglata a Istanbul nel maggio del 2011, è tesa a prevenire e contrastare la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Un tema caldo, visti i tanti casi di violenze e di omicidi che colpiscono le donne in Italia. La convenzione è stata ratificata dalla Camera e ora passerà al Senato per l’approvazione definitiva. Il documento punta a contrastare non solo le aggressioni, il femminicidio, la persecuzione e lo stalking verso le donne, ma anche le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni combinati, per affermare una vera autonomia e la parità di diritti rispetto all’uomo.
"la Russia e il Vaticano hanno proposto di togliere il riferimento alla violenza omofobica"
In teoria i principi affermati dalla Convenzione di Istanbul dovrebbero essere generalmente condivisi da tutti coloro che sostengono i diritti delle donne. Ma durante la fase di elaborazione del documento, come denunciato da Amnesty International, proprio la Russia e il Vaticano hanno proposto di togliere il riferimento alla violenza omofobica contro lesbiche, bisessuali e transgender, con l’intenzione di cancellare il riferimento all’orientamento sessuale e all’identità di genere come base inammissibile di discriminazione. Nel passo in questione, l’articolo 4 comma 3, si legge:
L’attuazione delle disposizioni della presente Convenzione da parte delle Parti contraenti, in particolare le misure destinate a tutelare i diritti delle vittime, deve essere garantita senza alcuna discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sulla razza, sul colore, sulla lingua, sulla religione, sulle opinioni politiche o di qualsiasi altro tipo, sull’origine nazionale o sociale, sull’appartenenza a una minoranza nazionale, sul censo, sulla nascita, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere, sull’età, sulle condizioni di salute, sulla disabilità, sullo status matrimoniale, sullo status di migrante o di rifugiato o su qualunque altra condizione.
Considerando gli episodi di intolleranza e le violenze proprio nei confronti dei gay (in questo caso delle lesbiche), togliere quel riferimento appare assai inopportuno. Ma proprio il mondo cattolico più intransigente ha accolto male il ‘rischio’ che venisse riconosciuta la discriminazione nei confronti degli omosessuali. In Parlamento Paola Binetti, deputata Udc affiliata all’Opus Dei, ha fatto approvare un ordine del giorno per mantenere la “coerenza” della convenzione con la Costituzione ed “evitare alcune ambiguità specifiche”. Tradotto, l’oggetto del contendere è stato l’articolo 3 relativo alle definizioni, che al punto c recita:
con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini
“Non si sentiva alcun bisogno di introdurre il concetto di genere in un trattato in cui al centro dell’attenzione c’è la donna in evidente e chiara contrapposizione con il maschio”, ha sostenuto Binetti. Su questo tasto aveva battuto anche la deputata Pdl (ex Pd) Dorina Bianchi sul ciellino Tempi: “l’Italia firmerà, ma occorre che la ratifica del trattato avvenga nel rispetto del suo ordinamento”. Sul quotidiano dei vescovi Avvenire il giurista Francesco D’Agostino ne approfitta per criticare la deriva (dal punto di vista cattolico) che porta ad una maggiore accettazione degli omosessuali e dei loro diritti, e di straforo cita criticamente proprio la Convenzione di Istanbul.
Tutto ciò appare in linea con la dottrina cattolica: in fondo, i dodici apostoli erano tutti uomini e la donna è stata destinata da san Paolo in una posizione di minoranza, quindi relegata ad “angelo del focolare” come sposa fedele a fianco dell’uomo — senza possibilità di divorziare — con la carriera religiosa quale unica forma di ascensore sociale per le single.
Una linea rimasta salda nel corso dei secoli, anche con l’enciclica Casti Connubii (1930) di Pio XI, che contrastava apertamente le concezioni moderne e liberali del matrimonio e che tuttora rimane tra i riferimenti dottrinari del cattolicesimo. Nell’enciclica il papa ribadiva che il matrimonio è un sacramento istituito da Dio e quindi indissolubile. Tra le sue finalità ci sono la procreazione e l’educazione cristiana dei figli, quindi vengono condannati contraccezione e aborto. L’emancipazione della donna viene bollata come contraria alla dottrina paolina, che vuole la donna sottomessa.
"modello di società maschilista e patriarcale e di una concezione “proprietaria” delle femmine"
D’altronde, ancora oggi i sacerdoti sono solo uomini, la Chiesa nega i diritti riproduttivi della donna e non ammette il divorzio. Anche quando il marito è manesco: il consiglio informale dei parroci è quello di “sopportare“. Recentemente, persino l’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joachim Meisner, noto in Germania per le posizioni conservatrici, ha consigliato alle donne di rimanere a casa per fare più figli. Tutto ciò non implica, beninteso, che il cattolicesimo inciti alla violenza sulle donne.
Ma di fatto è la ratifica di un modello di società maschilista e patriarcale e di una concezione “proprietaria” delle femmine, che non vengono in alcun modo contestati. L’impressione è che questo quadro sia interpretato come biologico, quindi “naturale”. Non prendendo le distanze in alcun modo da tale modello, è inevitabile che ben difficilmente si riesce a far evolvere la condizione della donna.
L’ultimo caso di femminicidio salito agli onori della cronaca è quello di Corigliano Calabro in provincia di Cosenza, in cui la sedicenne Fabiana Luzzi è stata uccisa del suo fidanzato. Ancora una volta ne emerge , scrive Fabio Sabatini sul blog de Il Fatto, quella cultura “medievale e sessista condivisa” e “coltivata nella famiglia, nel villaggio e nel resto del paese” purtroppo assai radicata soprattutto nel Mezzogiorno. È intervenuto sulla vicenda anche l’arcivescovo di Rossano-Cariati, Stefano Marcianò, che ha chiesto di pregare per l’assassino. Manca nelle parole del prelato l’attenzione per la dignità della donna, che viene tuttora trattata come un oggetto.
Ancora una volta, un vescovo non si preoccupa di intervenire sulle cause che conducono alla violenza nei confronti delle donne. Ancora una volta, nessuna concessione viene fatta alla loro auspicabile emancipazione. L’attenzione è solo per l’uomo e alla richiesta di perdono nei suoi confronti. Non ci sembra un atteggiamento adeguato ai rischi che tante donne corrono.