Il fatto che l'anatomia di Australopitecus afarensis fosse adatta all'andatura bipede non esclude che questo nostro progenitore avesse abbandonato definitivamente gli alberi. Lo dimostra un nuovo studio che ha documentato che la muscolatura di alcune tribù di cacciatori-raccoglitori che ancora vivono in Uganda e nelle Filippine permette di salire agevolmente sugli alberi nonostante lo scheletro da esseri umani moderni (red)
Circa 3,5 milioni di anni fa, in Africa, i nostri progenitori scescero dagli alberi, dando il via a una lunga evoluzione umana. Lo testimonia lo scheletro di Lucy, il primo esemplare di Australopithecus afarensis a essere scoperto, la cui anatomia testimonia la sua andaura bipede. Ma Lucy abbandonò totalmente gli alberi? In realtà, non c'è alcuna prova che sia così. Anzi, come dimostra ora un articolo apparso sui “Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS)” anche lo scheletro dell'essere umano moderno si può adattare ad arrampicarsi spesso sugli alberi grazie alla plasticità di tendini, muscoli e legamenti.
"Australopithecus afarensis aveva un'anca rigida e un piede arcuato e non prensile”, spiega Nathaniel Dominy, professore associato di antropologia e primo autore dell'articolo. “Questi tratti sono interpretati generalmente come incompatibili con l'arrampicata, ma si può dimostrare che questo comportamento non è escluso”.
La nuova teoria sulle capacità arrampicatorie di Lucy è nata in modo indiretto, da uno studio di antropologia che ha confrontato la tribù dei Twa che vive in Uganda con i loro vicini che vivono di agricoltura, i Bakiga. Un confronto analogo è stato condotto nelle Filippine, tra i cacciatori-raccoglitori Agta e gli agricoltori Manobo. La particolarità che unisce Twa e Agta è l'abitudine a salire sugli alberi in cerca di miele e altri cibi. Per entrambi la tecnica di salita è la stessa: appoggiano la pianta del piede direttamente sul tronco e “camminano”, con braccia e gambe che avanzano alternativamente.
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Dominy ha documentato tra gli arrampicatori una dorsiflessione estrema, cioè la capacità di flettere il piede verso la tibia ben oltre i 75-80 gradi tipici degli esseri umani delle società industrializzate. “Assumendo che le ossa delle loro gambe e le articolazioni dell'anca fossero normali, abbiamo ipotizzato che i tessuti molli potessero permettere questa dorsiflessione estrema”.
Per testare la loro ipotesi, gli autori hanno utilizzato una tecnica di misurazione a ultrasuoni per confrontare le lunghezze delle fibre muscolari del gastrocnemio, il muscolo de polpaccio, nei quattro gruppi: i Twa e gli Agta, gli arrampicatori rispettivamente ugandesi e filippini, hanno mostrato di avere fibre muscolari più lunghe.
“Questi risultati portano a ipotizzare che questi abituali arrampicatori possono cambiare l'architettura muscolare associata alla dorsiflessione della caviglia”, sottolineano gli autori, “dimostrando che un piede e una caviglia adattati alla vita terrestre non escludono l'arrampicata dal repertorio comportamentale degli esseri umani cacciatori raccoglitori”. In conclusione inoltre, emerge la validità dello studio degli esseri umani come modelli per lo studio dei correlati anatomici del comportamento, uno studio che può estendere i propri risultati all'analisi dei resti fossili dei nostri antenati.
http://www.lescienze.it/news/2013/01/02/news/lucy_arrampicava_alberi-1440872/