in foto: Parte dei resti analizzati. Photo: Ben Kyora-Krause
Uno studio ricostruisce un frammento di storia della malattia che flagellò l'Europa e che, ancora oggi, è una piaga che colpisce 200 000 nuovi pazienti ogni anno.
Viene considerata generalmente la malattia più antica del mondo: la lebbra, che porta nel suo stesso nome l’idea di emarginazione (dall’aggettivo greco che significa “scabroso” deriva infatti la sua radice), è diventata nei secoli un nemico sempre più silenzioso ma non per questo meno insidioso. Con circa 200 000 casi nuovi ogni anno, il morbo di Hansen (dal nome del medico norvegese che per primo ne individuò l’origine batterica) può dirsi tutt’altro che debellato, per quanto i progressi della medicina moderna lo abbiano reso decisamente più curabile di quanto accadeva in passato, eliminando così dall’immaginario collettivo quelle caratteristiche che ne fecero una “maledizione” di origine divina.
Eppure tale patologia, che nelle sue forme più gravi diviene a tutti gli effetti invalidante (a livello di dati, si parla di circa 1/3 sul totale dei casi), corre seriamente il rischio di cadere nell’oblio perché ormai diffusa principalmente nei Paesi in via di sviluppo lontani dall’occidente industrializzato: in questo senso, è fondamentale non tralasciare gli aspetti di ricerca su un morbo che, altrimenti, finirebbe per apparire ai nostri occhi come semplicemente un pallido ricordo del passato medioevale europeo, quando ammalati bendati, colpiti dal Mycobacterium leprae e dalla malasorte, potevano sperare soltanto nel conforto di qualche anima caritatevole.
I batteri analizzati si sono preservati in uno stato eccezionalmente buono che ha consentito agli studiosi di identificare diversi genotipi del ceppo diffuso nell’Europa medioevale, a tutt’oggi presente in alcune aree del Medio Oriente. Altri ceppi di Mycobacterium individuati sugli scheletri sono stati riscontrati in Nord America, suggerendo l’idea di una “importazione” dall’Europa da parte dei coloni a partire da un’età relativamente recente; la lebbra, insomma, non avrebbe viaggiato con i primi abitatori del continente americano che giunsero attraverso lo stretto di Bering, bensì nei tempi assai più vicini successivi alla “scoperta” europea; oggi proprio il Sud America è una delle zone in cui si registra la maggior prevalenza di casi di morbo di Hansen, assieme ad Africa Sub-sahariana ed India.
Uno degli scheletri oggetti di studio, proveniente dalla Danimarca, mostrava una conservazione ottima di DNA patogeno che ha consentito la ricostruzione del genoma senza ricorrere a moderne sequenze di riferimento: un fatto assolutamente inedito per casi del genere che ha portato gli scienziati ad ipotizzare che alcuni tipi di DNA batterico siano in grado di conservarsi ben oltre quello dei mammiferi; ciò aprirebbe alla possibilità di tracciare la storia a ritroso della malattia, riconoscendone i percorsi che, fin dalla sua preistoria, l’hanno portata a diventare un nemico mortale per l’uomo. La diretta comparazione tra i DNA più antichi e quelli moderni è uno strumento che potrebbe permettere non soltanto di mettere a punto una cronologia precisa, ma anche di conoscere le evoluzioni e i mutamenti avvenuti nel Mycobacterium leprae in relazione alle creature che, loro malgrado, fanno da ospite al batterio.
di Nadia Vitali
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