A guardarla così, brillante di luce riflessa e solitaria nei cieli notturni terrestri, si direbbe vuota ed arida; e, in generale, le spedizioni sulla Luna avrebbero suggerito, in un passato non troppo remoto, come la presenza di risorse idriche sul nostro pallido satellite, benché non andasse del tutto esclusa, sarebbe stata da attribuire completamente ad asteroidi e comete ricchi di acqua che, in tempi molto antichi, avrebbero bombardato la superficie lunare. Secondo tale teoria, insomma, l’acqua sarebbe giunta sulla Luna in una fase in cui la sua crosta si era già completamente solidificata e, dunque, quando il nostro satellite aveva già portato a compimento il proprio processo di formazione: un processo che, stando ad una delle ipotesi che godono di maggiore attendibilità attualmente, sarebbe stato il frutto di una gigantesca collisione cosmica avvenuta tra la Terra ed un gigantesco corpo celeste.
Ora nuove evidenze gettano parecchi dubbi su questa ricostruzione della storia di Selene, aprendo ad ipotesi discordanti e ad impreviste strade da seguire per cercare di appurare quale misteriosa origine si cela dietro il romantico satellite che accompagna la Terra durante le sue notti. In particolare, uno studio recentemente pubblicato da Nature firmato da un gruppo di ricercatori statunitensi, riporterebbe l’attenzione sul passato “bagnato” della Luna grazie alle nuove analisi condotte, con innovativi strumenti e con tecnologie d’avanguardia, sui campioni di rocce lunari riportati sulla Terra dagli uomini che presero parte alle diverse missioni della NASA nell’ambito del programma spaziale americano Apollo. Oltre trecentottanta chilogrammi di sassi e polveri, con buona pace dei complottisti e delle loro teorie in merito allo sbarco lunare, gran parte dei quali custoditi fin dal 1972 (quando con Apollo XVII terminarono le spedizioni) presso il Lunar Receiving Laboratory di Houston, al sicuro da contaminazioni e pronti ad essere esaminati.
Quelle rocce raccontano un passato assai diverso, di cui la Luna preserverebbe ancora memoria nelle profondità della sua anima. Tracce infinitesimali di acqua, sei parti per milione, sarebbero state riscontrate all’interno dei campioni grazie alle indagini condotte con metodologie più raffinate e precise di quelle utilizzate fino ad ora. Certo, si tratta di una percentuale di gran lunga inferiore a quella presente nelle più secche pietre desertiche della Terra ma è sufficiente per delineare uno scenario differente da quello fino ad ora immaginato a proposito della genesi lunare: quel che sembrerebbe chiaro agli scienziati, a questo punto, è che all’epoca della formazione del satellite terrestre la quantità d’acqua presente fosse assai più elevata di quanto precedentemente ipotizzato e che tali risorse idriche fossero presenti negli strati più profondi del satellite anche nella fase in cui la superficie rocciosa esterna era fusa, ossia prima ancora che si solidificasse.
Insomma un’ipotesi interessante che potrebbe diventarlo ancor di più se si avvantaggerà di nuove prove grazie a successive analisi sui tantissimi campioni lunari di cui l’uomo è in possesso. Ma che, ancora una volta, obbliga a riscrivere le pagine della storia dell’origine selenica, poiché sarebbe inconciliabile con la teoria del grande impatto: quell’evento così improvviso e in grado di sprigionare calore difficilmente avrebbe consentito all’acqua intrappolata nelle rocce di “sopravvivere”. Forse, a questo punto, gli scienziati ipotizzano che un processo evolutivo geologico assai più lento abbia portato la Luna a divenire come è e ci appare oggi, spoglia ed arida, anche se magicamente bellissima.
di Nadia Vitali