Insomma, poco o nulla a che vedere con la lastra di basalto che, ritrovata nel 1799 dai francesi durante la campagna d’Egitto di Napoleone, finì successivamente nelle mani degli inglesi che tutt’ora la custodiscono al British Museum. La stele recava un’incisione tradotta in tre lingue, greco antico, demotico (lingua tarda dell’Egitto) e geroglifico: il suo fortuito rinvenimento costituì il punto di svolta per la decifrazione dell’idioma parlato dall’antichissima civiltà nilotica. Eppure, fatte le dovute distinzioni, il nuovo sistema potrebbe anch’esso aiutare nella risoluzione di complessi problemi linguistici: messo a punto grazie al lavoro congiunto degli studiosi della University of British Columbia di Vancouver e della University of California di Berkeley che hanno presentato i risultati del proprio lavoro sulla rivista PNAS.
Il software, inoltre, può lavorare su una scala estremamente ampia, superando in questo i modelli simili elaborati in precedenza. A dimostrazione di ciò, attraverso una banca dati di oltre 142 000 termini provenienti da 637 lingue appartenenti al gruppo austronesiano (che comprende gli idiomi parlati in un’area compresa tra Madagascar, Sud-Est Asiatico ed Oceania), i ricercatori sono giunti ad una ricostruzione di un insieme di antichi linguaggi rudimentali, diffusi anticamente tra il Pacifico e l’Asia sudorientale insulare, con un’accuratezza pari all’85% rispetto alle ricostruzioni operate “a mano” dai linguisti.
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